Il 2 giugno 2008, pochi giorni prima di partire per il Sudafrica, inauguravo il neonato blog Parole in Cammino riportando una poesia dal titolo Ode alla vita, che erroneamente attribuii a Pablo Neruda. Mi piace l’idea di inaugurare la veste di questo blog, per certi aspetti nuovo, riportando la stessa poesia, citando la vera autrice: Martha Medeiros, poetessa brasiliana.
L’errore è stato diffuso da internet e peggiorato dopo l’intervento di Mastella nel 2008.
Nell’articolo di Repubblica.it che denuncia l’errore è scritto: Stefano Passigli, presidente della Passigli editori, che pubblica in Italia le opere del Nobel cileno, ha dovuto fare un comunicato. “Chi conosce la sua poesia – spiega Passigli – si accorge all’istante che quei versi banali e vagamente new-age non possono certo essere opera di uno dei più grandi poeti del Novecento”.
Pablo Neruda, tuttavia, nel suo discorso in occasione della consegna del Nobel, dice
” solo con una ardiente paciencia conquistaremos la espléndida ciudad que dará luz, justicia y dignidad a todos los hombres. Así la poesía no habrá cantado en vano.”
La frase è anche il finale dell’ode alla vita ed è presa da Rimbaud , il poeta veggente :
“A l’aurore, armés d’une ardente patience, nous entrerons aux splendides villes” (All’alba, armati di ardente pazienza, noi entreremo nelle città splendide).
ODE ALLA VITA di Martha Medeiros
Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.
Tuesday, November 19, 2019
Un vestito nuovo
Avevo un bel vestito. Era fatto tutto con le mie mani. Aveva dei fiori e delle foglie. Erano decorazioni newclassic. Mi piaceva, ma aveva cominciato a starmi stretto.
Non so se sono ingrassato io o se si è rimpicciolito il vestito. Ma ho la sensazione di essere un po’ ingrassato.
Era un vestito nero. Nel corso degli anni avevo aggiunto delle toppe di altri colori. Tutte con quei fiori. Mi piacevano. Ma non sono sicuro che mi stesse bene.
Poi ho comiciato a guardami un po’ in giro ed ho visto che ero fuori moda.
Completamente fuori moda.
Non che fosse un male, non mi piacciono le mode, ma era un po’ come cercare di guardare le videocassette quando tutti guardano i DVD. Ero fuori tempo.
Così sono andato un po’ in giro e ne ho trovato un altro. Anche questo sembra essere fatto per poter essere aggiustato a seconda dei propri gusti.
Intanto me lo sono sistemato un po’ qua e là, accorcciando e tagliano, poi magari, deciderò di modificargli il colore. Vediamo.
Spero la gente mi riconoscerà lo stesso.
Il vecchio vestito, comunque,non l’ho buttato. E’ nell’armadio, con un’etichetta
Vest-Sito personale precedente.
Vest-Sito personale precedente.
Il viaggio come fuga ed evasione. Da cosa? Posted on luglio 1, 2011 by dariosorgato Dico di essere un viaggiatore, di amare il viaggio, di voler viaggiare. Lo dico a me, per autoconvincermi che è davvero così. Poi, ogni tanto, ci penso. E mi chiedo perchè viaggio? perchè voglio viaggiare? Anche se non sono attualmente in movimento, non sono nemmeno fermo e recito questa parte ambigua in una terra che non è la mia. Ma di questo viaggiare statico, ne ho già parlato. Ora vorrei soffermarmi su una delle tante sfaccettature del viaggio: la fuga. Sono anch’io in fuga? Sto forse scappando da qualcosa, da qualcuno? Mentre me lo chiedevo mi sono imbattuto su un testo molto interessante, di Erika Eramo. La giornalista e scrittrice ha pubblicato sulla rivista Aperture un articolo dal titolo Il viaggio come inutile fuga dall’io: tecum sunt quae fugis, Gira e rigira, però, quando si parla di viaggio come fuga i riferimenti bibliografici più rilevanti sono due: Seneca e Baudelaire. Il primo affronta il tema nelle Epistole morali a Lucillo. Il secondo in Les Fleurs du Mal. Tuttavia Seneca scrive a Lucillo citando Virgilio e con una serie di domande retoriche cerca di spiegare che il viaggio non è un modo per fuggire, poichè ciò da cui cerchiamo di allontanarci è il nostro io. “Perché ti stupisci, se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso? Ti incalza il medesimo motivo che ti ha spinto fuori di casa, lontano” Baudelarire, invece, sceglie la fuga dei sensi, l’evasione dalla realtà ad opera di droghe ed alcool. Anche questo era un modo diverso per conseguire il medesimo scopo: la fuga, ancora, da se stessi, dalla propria angoscia, da quello che il poeta maledetto definiva Spleen Passano gli anni, i secoli, ma l’uomo sembra non cambiare. Solo qualche decennio fa A. A. Tarkovskij scriveva: C’è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore. Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta. Così come non credo che si viaggi per tornare. L’uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perchè, nel frattempo, lui stesso è cambiato. Da se stessi non si può fuggire. Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare. Anche nel caso di una vacanza bisettimanale, o di un weekend in montagna, il viaggio diventa un’evasione: dalla routine, dalla città, dal rumore, dal traffico. Ma in questi casi è una normale necessità di cambiare ambiente, scenario e di recuperare energie ‘staccando la spina’. E’ evidente che non è questo il caso. Il viaggio come fuga da se stessi è qualcosa di più profondo, di più viscerale. Una sorta di necessità che una volta attuata sembra quasi assumere un certo appeal. E’ molto probabile che tutti i grandi viaggiatori avessero una ragione interiore che alimentava il desiderio di scoprire e di esplorare, ma a noi arrivano solo i chilometri percorsi, gli appunti, le immagini. Ma cosa c’era dentro il loro animo? Cosa li spingeva ad andare? Nello stesso modo mi sono chiesto io stesso se i miei viaggi sono e sono stati fine a se stessi oppure sto cercando di deporre il fardello che grava sul mio animo (Seneca)? Quale? Da cosa fuggo? Da cosa, da chi mi nascondo? La riposta è ancora una. Da me. La domanda, infatti, è un’altra. Perchè? Forse perchè non ho ancora accettato quello che sono, come sono. Forse perchè in qualche modo mi sono sempre nascosto, e ora ho trovato soltanto un altro modo per continuare a farlo in modo più proficuo. Forse non ho accettato i miei difetti, i miei problemi e cercando di nascondere quelli ho cominciato a nascondere me. Creando anche altri Me. Ognuno con una parte diversa, da recitare a seconda delle occasioni e delle situazioni. Ed ora, che vorrei soltanto essere uno, non mi trovo, continuo a cercarmi e intanto non sono nessuno. Fuggo da me, mi rincorro e credo di potermi ritrovare lontano. Che poi mi vada a cercare nei posti migliori è indubbio. Mentre mi cerco trovo pezzi di mondo che per terra o per mare mi hanno fatto amare anche quello che inevitabilmente nel viaggio si scopre e si impara, si conosce, si vive e si condivide. LEGGI ANCHE • Il viaggio, la fuga e la ricerca dell’identità personale nel giovane adulto • Seneca, i viaggi e l’inutile fuga…(Epistole morali a Lucilio) • Il Tedium Vitae e la fuga da se stessi Share Posted in Viaggi | Tagged evasione, fuga, viaggio | 5 Comments Cos’è il viaggio? Chi è il viaggiatore? I diversi tipi di viaggio. Posted on maggio 4, 2011 by dariosorgato Sono tornato un anno fa dal lungo viaggio da Città del Capo a L’Avana. Da tre mesi vivo a Berlino. Ho una casa, frequento un corso intensivo di tedesco, lavoro. Sono in viaggio? Tecnicamente no, non credo che sia sufficiente vivere in una città o nazione diversa da quella di origine per poter dire di essere in viaggio. Se la migrazione è definitiva o progettata per durare a lungo, si tratta di fatto di un trasferimento. Tuttavia al di là della retorica per cui “la vita è un viaggio (e viaggiare è vivere due volte)”(Omar Khayyam) effettivamente se non sono in viaggio, sono quanto meno in movimento. Generalmente si parla di viaggio quando vi è uno spostamento piò o meno continuo per un periodo più o meno lungo, ma come si sa, ogni viaggio comporta anche un cambiamento interiore e quindi un moto dello spirito. Che movimento e spostamento debbano coesistere per poter rientrare nella categoria viaggio non è scritto nella definizione, che anzi, contempla entrambe le possibilità: viaggio fisico e metaforico. A questo punto dipende dalla indole personale e da quanto ciascuno di noi sa e vuole viaggiare nella propria mente, nella propria quotidianità, nel proprio territorio e nel mondo. Detto questo alla domanda se sono o meno in viaggio rispondo si, lo sono sempre. Cambio velocità, modi, compagni, percorsi, paesaggi, ma non credo di essermi mai fermato troppo a lungo. Anche in questo caso i gli aggettivi e le caratteristiche notoriamente riferite ai viaggi intorno al pianeta sono applicabili ai viaggi interiori. La velocità, per esempio, è determinata dalla quantità di stimoli che ricevo dall’esterno, che accelerano il pensiero accostando immagini, visioni, fantasie. Oppure i paesaggi, che snon sono altro che i territori della cultura e delle diversità che adoro esplorare. Per esempio per quanto la Germania sia un Paese Europeo, e fossi convinto di conoscerlo a sufficienza da preferire viaggi in Africa o Sud America, mi stupisce per le sfumature che colgo apprendendo lentamente il linguaggio, per come vengano affrontati i problemi sociali, per la forma mentis diversa dei tedeschi (al di là dei luoghi comuni che tendono a banalizzare i dettagli), per il clima. Già, il clima. Si legge sui libri, si sente nei bar la vecchia storia che al nord la gente è più fredda rispetto ai Paesi mediterranei. Ma prima di questi tre mesi in Germania non sapevo esattamente cosa volesse dire avere freddo, essere freddi. Un capitolo a parte meriterebbe la scuola di lingua. Ogni lezione è un viaggio. La classe attuale del secondo modulo del primo livello dell’Integrationkurs è composta da un brasiliano saxofonista jazz, due turche, un marocchino cuoco, un francese-serbo tecnico luci di teatro, tre italiani disoccupati, una spagnola videoartista, una libanese incinta, un’australiana silenziosa, un ganese simpaticissimo, una Barbie polacca e un polacco meccanico, un ceceno col braccio spezzato, tanta barba e nessun capello. La maestra camerunese non ce l’ho più, in compenso due signore tedesche stanno cercando di insegnare questa ostica lingua a questo miscuglio di gente e colori. Basta fare l’appello per aver viaggiato mezzo mondo. Basta che qualcuno faccia un gesto con la mano per richiamare l’attenzione perchè un altro creda che sia finita la lezione. Viaggi della mente, viaggi di lavoro, viaggi turistici, viaggi fantastici, viaggi lunghi e brevi. Come non è la macchina a fare il fotografo, un libro a fare lo scrittore, non è il viaggio a fare il viaggiatore. Viaggiatori si è. Si diventa, ma a mio avviso non si nasce. Al massimo si cresce viaggiatori, invogliati da genitori e amici con i motori sempre accesi, i piedi sulla strada, le chiappe su una sella. Sono in viaggio e quando mi rendo conto di esserlo, quando, come ora, ho il tempo (e anche la voglia) di raccontarlo, mi accorgo che il mio viaggio è fatto di tappe lunghe, di tempi lenti, di rapporti umani. Certo, vorrei potermi estasiare di fronte al Macchu Picchu più spesso, ma mentre cerco di risolvere il conflitti interiori che mi spingono a cercare sempre altrove quello che sembra mancare intorno a me, maturo la convinzione che essere viaggiatori è uno dei possibili modi di essere, condizione che alimenta sè stessa con il continuo desiderio di andare. SE TI INTERESSA LEGGI ANCHE Forum Lonely Planet Share Posted in Racconti, Viaggi | 5 Comments Alberto Granado Jiménez. Quando muore un viaggiatore… Posted on marzo 7, 2011 by dariosorgato 5 Marzo 2011. Muore Alberto Granado Jiménez. Aveva 88 anni. I motivi per cui voglio dedicargli un articolo sono tanti. E’ nato a Cordoba, in Argetina, (Sono passato da Cordoba nel giugno 2009). Da Buenos Aires (aprile-giugno 2009) è partita la spedizione raccontata nel libro Latinoamiericana e film The Motorcycle Diaries che ho visto per la prima volta a Melbourne, prima di partire per un lungo viaggio alla scoperta dell’Outback australiano. Quei 16000 chilometri sono parte del libro UN ANNO IN OTTO ORE. Altri tempi, altro continente, altre ruote. Stesso spirito, stessa grande voglia di conoscere il mondo. Che Guevara e Granado ribattezzarono la loro motocicletta La Poderosa. Io e il mio compagno di viaggio guidavamo Il Pallottola. Credo che i motivi che ci spinsero a dare un nome al veicolo fossero in qualche modo simili. Sia la Poderosa che il Pallottola non erano mezzi su cui scommtterci troppo. Infatti entrambi hanno ceduto ed ogni rottura durante un viaggio è inevitabilmente la miccia per inaspettati eventi sucessivi, nel bene e nel male. E’ l’imprevisto del viaggio, il fattore incalcolabile ma immaginabile. Sai che potrebbe succedere ma nè dove nè quando nè come. E in ogni caso, parti. Granado, come me, era quello che annotava le vicende, le tappe, i chilometri. Scrisse: “Prima volevamo conoscere il mondo, dopo volevamo cambiarlo”. Non è questo ciò che muove i viaggiatori? Questa voglia di conoscere il mondo che spinge sempre oltre e altrove? Di Che ce n’è uno. Forse lui è riuscito a cambiare il mondo, o un pezzo di mondo. Ma non è questo il punto. Il mondo lo si cambia anche solo viaggiando, perchè conoscendo, apprendendo, confrontandosi, si cambia il modo di essere e di vivere, per avvicinarlo ad uno stile umano che va oltre il proprio territorio. Viaggiando si capisce che i confini degli Stati sono solo un fattore politico che con il tempo è diventato culturale. Le limitazioni orografiche e idrografiche coincidono in minima parte con limitazioni politiche. Granado si era trasferito a Cuba nel 1961. Ed è a l’Avana che è morto. Cuba, ultima tappa del mio viaggio di 681 giorni. Chi è stato a Cuba probabilmente si visualizza il personaggio in maniera diversa. Forse anche la sua morte. Era un tipo gioviale, simpatico. guardando le sue interviste e le sue foto mi viene voglia di ballare. E’ come se avesse avuto il tempo di farsi tatuare sulla pelle il sole dei Caraibi, la musica di Cuba. E’ vero, è una delle isole più isolate del mondo, ma c’è uno spirito, là dentro, che è ancora quello genuino con il retrogusto della semplicità. Non so cosa si provi ad essere l’amico del Che. Non che essere amico dei miei amici sia meno importante, ma sapere di avere iniziato con lui un sogno che ha toccato il mondo intero, forse ha il sapore di una risposta. Una. Alle mille domande del perchè viaggiamo, del perchè anche oggi cerchiamo l’avventura. In motocicletta, in vespa, a piedi, col furgone, in biciletta. Forse è viaggiando che cominciano i sogni. Quelli che credevamo che si potessero estinguere arrivando…dove? Quando, alla fine, muore un viaggiatore, rimangono le tappe, i chilometri, le orme. Rimane quello che è cambiato solo per il fatto che di qui/lì siamo passati. Share Posted in Attualità, Storie, Viaggi | Tagged alberto granado, argentina, che guevara, cordoba, perchè viaggiamo, viaggio | Leave a comment Diario di viaggio. Il valore di scrivere sulla carta. Posted on febbraio 7, 2011 by dariosorgato “La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno. Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli. Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poichè è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente la natura e l’estensione di questo cambiamento.” J.P. Sartre, da La nausea I piccoli fatti. Questo consente di fare la carta. La carta è immediata, è parte del viaggio. La carta assorbe l’odore, la pioggia. La carta brucia. Ci sono pagine dove ho provato ad imprimere un profumo, dove ho scarabocchiato la rabbia, pagine che ho baciato, che ho stracciato e poi incollato. Ci sono biglietti, indirizzi. La carta pesa, ma è ancora assolutamente insostituibile. Ci sono pagine scritte su fogli a righe, altre su quadretti di quaderni comprati a Cuba. E c’è questa pagina, nella foto. La prima di un diario comprato a Blantyre, in Malawi, dentro un piccolo laboratorio di carta riciclata, prodotta a mano da altra carta o da merda di elefante. Davvero. non ci credevo che un giorno avrei scritto su quel che era sterco gigante. Come scrisse J.P Sartre all’inizio de La Nausea, tenere un diario serve a vederci più chiaro, ma non necessariamente subito. Magari a distanza di giorni o settimane. E quindi la carta e solo la carta permette di appuntare e non di scrivere. La carta da viaggio non vuole necessariamente il senso compiuto. Il messaggio che contiene deve essere per forza trasformato, riletto, riscritto, prima di essere tramandato. Le sfumature. Quante volte me lo sono detto io stesso che sono quelle a dare vita ai colori. La polvere dell’Africa si puà quasi palpare tra le pagine ruvide di un diario che è esso stesso un pezzo di Africa. Sicuramente c’è qualche granello, qualche atomo di polvere, magari il sangue rappreso di una zanzara schiacciata tra le pagine. “La mia Africa comincia tra piedi scalzi e scarpe lucidate in città’ Ruvida e liscia. Sporca e lucente. Piena di contrasti e di chiassosi accostamenti. “Pensieri che vogliono diventare parole ” strisciate sulla carta come piedi sulla polvere. Come serpenti, come gocce. Una penna che scorre su carta e merda come piedi di bambini che calpestano la terra. Quanta Africa ho ritrovato in questa pagina, quando, dopo più di due anni, l’ho riaperta, riletta, riscritta. Se anche tu viaggi, se scrivi, fallo ancora e per molto tempo, sulla carta, con la penna. Tutto il resto (Tablet, Pad, Pod) non è ancora poesia. Nè viaggio. Nè emozione. Share Posted in Scrivere, Viaggi | Tagged carta, diario di viaggio, penna, scrivere, viaggio | 1 Comment Adrenalina da partenza e ansia da viaggio: il bello e il meno bello del viaggiare. Posted on gennaio 27, 2011 by dariosorgato La funzione fondamentale dell’adrenalina è quella di predisporre l’organismo ad affrontare situazioni di emergenza sul piano fisico ed emotivo. Nelle situazioni di incertezza e precarietà “provare adrenalina” equivale a sentire una sensazione forte che annienta tutte le altre; una sensazione però che anche quando non è piacevole viene spesso ricercata. Un viaggio è indubbiamente una situazione di rischio, di incertezza. Certo, ci sono viaggi dove è già tutto programmato e stabilito per cui si riducono le possibilità di incorrere in qualche pericolo o imprevisto, ma recarsi in posti nuovi conoscere persone diverse, confrontarsi con culture sconosciute, aumenta la probabilità di trovarsi in situazioni nuove che non sappiamo come affrontare o gestire. Per molti questo è un problema, una sensazione spiacevole, mentre altri ricercano proprio questo e trovano proprio in questa curiosità verso il non conosciuto lo stimolo per cimentarsi in nuove avventure. Forse si può generalizzare dicendo che l’adrenalina che si sviluppa prima della partenza, che culmina in aeroporto o comunque quando decolliamo o salpiamo, è una sensazione positiva, quella che muove i viaggiatori, mentre l’ansia viene vissuta male. Le cause sono probabilmente legate a qualcosa di profondamente personale e solo un percorso introspettivo individuale può portare a scoprirle e quindi vincerle. Ma come possiamo fare per trasformare queste sensazioni in qualcosa di positivo? Potete trovare qualche vademecum nei siti di psicologia che vi forniscono qualche consiglio utile, ma il mio suggerimento è quello di cercare le cose positive del momento, di dimenticarsi dei rapporti affettivi che ci legano a casa. Focalizzarsi sul luogo, osservare, ascoltare, essere presenti con tutti i ricettori sintonizzati sugli stimoli che ci circondano. Vivere un viaggio portando l’attenzione su quello che ci manca, su quello che non c’è non aiuta a cogliere la diversità del luogo, le difficoltà diventano insormontabili, mentre proiettarsi completamente nella nuova situazione aiuta ad affrontarle come un momento che ci appartiene, anche se non si svolge in un luogo famigliare. Forse molti di noi sono abituati a sentirsi protetti nell’involucro delle abitudini. Queste rassicurano. Non ci costringono ad alcuna scelta. Il viaggio costringe ad una scelta e selezione costante, ma è quello che trasforma il viaggio in una crescita. I villaggi turistici, infatti, puntano proprio alla riduzione al minimo dell’iniziativa personale, proponendo pacchetti preconfezionati di attività ed escursioni. Scegliere. Occorre imparare ad essere liberi anche sapendo scegliere dove andare a cena, cosa fare il giorno dopo, dove essere con tutto il corpo e la mente. Share Posted in Racconti | Leave a comment Messico a Milano. Perchè il viaggio comincia ancor prima di partire Posted on gennaio 13, 2011 by dariosorgato Guestpost di Luca Il Messico, un paese che alle orecchie di noi italiani suona come una meta leggendaria, un sogno da realizzare il viaggio della vita o in due semplici parole: il viaggio. Pensandoci a distanza di anni, con un po’ di nostalgia mal celata, capisco perché quando, poco piú che maggiorenne, sentito per la prima volta l’impulso di viaggiare, il pensiero é andato automaticamente al Messico. Abatantuono e soci improvvisati narco-trafficanti tra Acapulco e Real de Catorce o semplicemente Vasco che, in una Y10 guidata con ingenuità ed una sigaretta accesa a finestrini abbassati, urla a squarciagola “Vado al massimo vado in Messico”! E poi ancora i libri di Cacucci cosí veri da sentire la polvere sui polpastrelli ad ogni pagina girata, questo e tanti altri pezzi di quel puzzle, di quel viaggio, di quel sogno di quella sensazione e quell’immensitá che é il Messico. E allora si lavora d’estate a Milano con la cittá deserta ed un’afa che vedi sudare anche zanzare, ma va bene cosí ogni giorno sono 80 mila lire da scalare al prezzo del biglietto aereo poi altre 80 che si trasformeranno in tequila o mezcal ed in biglietti per un autobus di terzera che mangeranno la strada in notti da un miliardo di stelle. Il sogno é gia iniziato, il Messico é giá lí, i navigli in agosto sono fiumi in piena tu sei un fiume in piena, in balia di quelle sensazioni scatenate dall’attesa del primo grande viaggio della tua vita. Tu sei lí ma solo fisicamente, percepisci la grandezza dell’evento, sai che una volta tornato nulla sará piú lo stesso tu per primo sarai un’altra persona. É un’occasione unica, di quelle da “una volta nella vita” e non c’è veramente tempo da perdere. Lo hai giá capito che il viaggio é iniziato e perció sono notti passate consultando cartine, guide turistiche e parlando solo del viaggio. Qualche volta capita di incontrare qualcuno che in Messico c’é giá stato qualcuno che la sua iniziazione l’ha giá avuta come un tatuaggio indelebile. Diventi una spugna assorbi tutte le informazioni possibili, prendi nota di tutto ed ogni 2 giorni l’itinerario cambia, le fotografie dei luoghi ed i volti delle persone, che sogni incontrerai, lasciano ogni notte il posto a volti e luoghi nuovi. La mattina alle 8 c’é la sveglia ma non importa, il suono é soave, il sonno delle ore non dormite provoca un dolce effetto rilassatezza, sei tranquillo stai giá viaggiando. Il tempo passa e le giornate si accorciano in quella fine estate milanese. La cittá si riempie e tu ridi in faccia a tutta questa povera gente che é tornata dalle loro tristi vacanze, tu sei anni luci lontano, sei 1000 kilometri l’ora piú veloce di loro. Ora il sogno deve fare i conti con piccoli istanti in cui hai bisogno di tornare alla realtá: lo zaino da preparare, i travel cheques e qualche centinaia di lire cambiate in banca che devi passare a prendere, qualche saluto agli amici dato con un ghigno sulla faccia. C’é l’hai fatta, l’estate di lavoro é passata il caldo torrido é un ricordo, l’eccitazione di notti insonni si sta trasformando in adrenalina. Sei lí e davanti alla vetrata c’é un Boing della KLM e quando atterrerá il sipario si aprirà; tu sei pronto, il copione lo stai studiando da giorni, settimane, mesi. Voli, dormendo forse per riprendere le forze o perché ora che l’attesa significa ore e non settimane diventa insostenibile ad occhi aperti. Arrivi sono le 7 del mattino a Mexico City e 20 milioni di persone si stanno per svegliare per iniziare la loro giornata. Tu? Tu sei sveglio ma a differenza loro continui a sognare anzi hai appena iniziato a sognare veramente! “Mi chiamo Luca aka Virgilio (di dantesca memoria) dopo una sudata laurea in Lettere moderne ad indirizzo geografico (vecchissimo ordinamento J) mi sono trasferito a Londra. Da 3 anni lavoro per HostelBookers e da uno ho il privilegio di occuparmi del contenuto del sito stesso. Correlato al sito abbiamo anche uno blog di viaggi dove con regolaritá pubblico articoli e consigli per tutti coloro che cercano suggerimenti prima di partire e soprattutto per coloro che non sanno ancora dove andare ma cercano un po’ di ispirazione” Share Posted in Racconti, Viaggi | Tagged Messico, Milano | 1 Comment Perchè viaggiare è un desiderio tanto diffuso? Posted on dicembre 21, 2010 by dariosorgato Sto leggendo L’arte di Viaggiare, di Alain de Botton. Secondo lo scrittore e filosofo, conta lo sguardo stesso del viaggiatore, il suo desiderio di vedere “davvero”. Anche lui prova a vedere “disegnando” per imparare a viaggiare e osservare tutti i giorni. anche nei luoghi che abitiamo e che forse non siamo mai stati capaci di guardare. Tra le pagine del libro si trova un modo diverso di guardare alle mete e ai luoghi, con attenzione a particolari culturali che fanno differenze maggiori delle distanze. La letteratura di viaggio, tuttavia è maestosamente vasta, sorpattutto se si considerano i viaggi nelle varie accezioni, nei vari periodi storici e per diversi motivi, Si va dal viaggio di Dante dall’Inferno al Paradiso, dalle crociate e alle conquiste coloniale, dai viaggi di scoperta dei mondi oltreoceanici alle esplorazioni delle montagne, dai viaggi psichedelici ai pellegrinaggi religiosi. Ma perchè l’uomo viaggia? Se è chiaro che alcuni viaggi avevano delle profonde motivazioni che talvolta non erano nemmeno direttamente dei viaggiatori stessi, mi interessa soffermarmi su qlcune delle motivazioni che il Dott. Iacopo Bertacchi propone in un interessante articolo sul senso del viaggio. il viaggio può essere un modo per scoprire altri aspetti della propria identità che nella vita quotidiana non riescono ad emergere… …la necessità di uscire da una quotidianità percepita come soffocante … …un modo per conoscere gli altri e attraverso gli altri, se stessi. Chiara Meriani, invece, ha un blog dedicato al senso del viaggio e seppure cita Baudelaire e annovera tra le cause la stessa irrequietezza come necessità di conoscere sempre cose nuove, rispetto all’rticolo di Bertacchi, aggiunge: Per trovare la libertà, bisogna uscire dalla struttura di un unico sistema e capire altre culture: è la possibilità di scegliere i modi in cui dare senso alla propria vita che permette di essere liberi. Forse per quanto si cerchi di dare una risposta collettiva ad una domanda tanto ampia, si finisce con il rimescolare motivazioni e pensieri già raccontate da viaggiatori illustri come Bruce Chatwin o Marco Polo, o già rimescolate in diverse salse in articoli da blog più o meno originali. Ancora una volta, quindi, quello che conta è ricomporre i pezzi che meglio si adattano a noi stessi. Non a caso mi sono soffermato dull’irequietezza, un sentimento che ha spinto molti dei miei passi, la costrizione della quitidianità e la ricerca della libertà. Se questi sono il volano della partenza il motore è tenuto a regime dal desiderio di conoscere, dalla curiosità verso altri mondi. Se qualcuno dice che NON C’E’ PIU’ NIENTE DA SCOPRIRE, che ormai i Colombo e i Magellano sono già esistiti, io rispondo che la scoperta non deve essere necessariamente fatta per gli altri, per passare alla storia, per essere ricordati o diventare famosi. Le scoperte spesso dovrebbero bastare a noi stessi. Le scoperte alimentano le emozioni, la passione. per quanto esistano i libri, le guide turistiche, che raccontano ogni angolo, esiste sempre qualcosa che solo noi riusciamo a vedere. Una luce, un paesaggio, un volto.Nei libri e nelle guide non ci sono istanti e nemmeno non c’è l’adesso. Non c’è limite alla scoperta se non si confonde il personale con il sensazionale, nel senso di incredibile e strabiliante. La meraviglia, invece, è sempre possibile, e ogni viaggiatore la trasforma in quello che meglio crede. A me, spesso,piace trasformare i viaggi in storie, in parole, in visioni. E quindi viaggiare e scrivere diventano quasi la stessa attività. In entrambi i verbi sento di essere libero. Leggi la mia ultimissima storia Share Posted in Viaggi | Tagged meaning of travel, perchè viaggiare, senso del viaggio, travel, viaggiare, why travel | Leave a comment The road. Un grigio viaggio nella profondità dell’animo Posted on dicembre 6, 2010 by dariosorgato Ieri sera ho visto The road. Se scrivo un articolo su The road, non so se faccio la recensione di un film, di un libro o se scrivo di un viaggio. Forse dei tre approcci scelgo il terzo. La storia racconta del viaggio verso sud di un padre e suo figlio. Verso sud vuol dire verso il caldo, verso temperatura più vivibili di quelle delle terre desolate e fredde in cui una pioggia radioattiva ha terminato la natura e le sue creature: gli alberi cadono, gli uccelli hanno perso l’intenzione del volo, Un viaggio in cerca di cibo, di riparo e di umanità. In cerca della sopravvivenza e della vita stessa. In Italia la proiezione del film è stata bloccata perchè ritenuto troppo pessimista. Ho iniziato la visione con il pregiudizio di questa censura, che mi ha predisposto alla visione di un film grigio, non solo nei colori. Eppure il messaggio del film è per la vita, per la sopravvivenza ad ogni costo, anche contro l’inevitabile destino. per la ricerca del bene, di ‘quelli buoni’ che si aiutano anche quando non si ha niente, che non si ammazzano anche se il cannibalismo dovesse rimanere l’unico modo per nutrirsi. Anche se molti dei film recenti raccontano di disastri apocalittici, The road cattura il realismo di un olocausto, combinando il futuro assoluto peggiore possibile, con una delle caratteristiche umane più belle e profonde: la perseveranza. Andare avanti in quel cammino verso sud e continuare a vivere. Il parallelismo appare scontato, ma un percorso tanto arduo non poteva che rappresentare la difficoltà della vita, da difendere fino all’ultimo, pur con la consapevolezza che è nostra libera scelta. Share Posted in Viaggi | Leave a comment Come scrivere un post originale Posted on dicembre 3, 2010 by dariosorgato Stai per scrivere un nuovo post. vai su Google, digiti un titolo che hai in mente pe vedere cosa c’è di già pubblicato. Qualsiasi cosa ti venga in mente, ci hanno già pensato. C”’è una domanda su yahoo answer, c’è un post su uno di quei dieci blog che sputano da tutte le parti. TagliaBlog, Robin Good, … E allora? come si fa? Dobbiamo per forza rimescolare i contenuti di altri per riproporli in salse diverse? oppure c’è ancora spazio per la fantasia? Per esempio…ho provato a scrivere il titolo di questo post su Google e un post che spieghi proprio come scrivere qualcosa di originale non l’ho trovato… Ho cercato ancora, per essere sicuro…c’è già cazzo. ed è anche un bell’articolo Ma anche in questo caso, se leggete bene, si tratta di consigli su come scrivere, sul come creare un buon articolo, non sul COSA. Quando decido di scrivere un nuovo post, uso l’approccio dello scrittore per decidere il tema, quello del blogger per il come (anche se ci sto ancora lavorando). Infatti uno scrittore scrive quello che vuole scrivere, non quello che gli altri vogliono leggere. Ecco quindi la prima cosa da fare 1. Ascoltati Dentro di te ci sono le idee. nascono dai sentimenti, dal tuo modo di essere e di vedere le cose. Quindi se è vero che ci sono delle regole standard su come scrivere alcuni articoli, è fondamentale scrivere quello che si sente. E questo forse vale anche per i blog tecnici (sarebbe bello che tra i commenti ci fossero conferme o smentite) che per quelli più esplicitamente emotivi. 2. Scegli tra quello che hai sentito dentro di te la prima cosa. La prima idea, così, com’era. 3. Applica le regole del come per rendere il tuo post interessante e far arrivare il messaggio. Sono io stesso il primo che proverà a mettere in pratica queste semplici regole. Tornerò su questo post per commentarle e verificare la loro validità Link utili Scrivere un post perfetto in 10 semplici passi Come scrivere un post di 1.000 parole in 30 minuti Share Posted in Blogging | Leave a comment Perchè diventare scrittori è un desiderio tanto diffuso?
B.Pasternack, è morto povero, Bacchelli quasi e così tanti altri.Vale la pena scrivere per vivere? Scrive Bruno in un commento al post Non fare lo scrittore che è meglio, di Maurizio Teroni, che onestamente non so chi sia.
Il post racconta in maniera divertente i motivi per cui non ha proprio senso fare lo scrittore che per campare scrivendo ti devi chiamare Baricco, frequentare la televisione, aprire una scuola di scrittura, insomma fare una cosa alla moda.
Aggiunge poi che un uomo nella vita deve fare un figlio, scrivere un libro e piantare un albero.
Mi manca il figlio, donne fatevi sotto.
Bruno, Maurizio, chi più ne ha pù ne metta, rimane il fatto che non è una novità che fare lo scrittore è diffcile e nella maggior parte dei casi, non paga. Eppure proliferano i blog di scrittori esordienti, le riviste, i concorsi per racconti inediti. La pubblicità degli editori a pagamento è ovunque e le case editrici on demand sono stracolme di libri. Ma chi li compra? Avete mai acquistato su Lulu.com o su ilmiolibro.it?
Allora perchè? Perchè sono così tanti quelli che scrivono e che non si accontentano di scrivere, ma vogliono fare gli scrittori?
Io sono tra quelli e voglio dare la mia risposta, ma sono sicuro che ce ne sono molte altre.
Scrivere è prima di tutto una necessità. Si scrive perchè si ha qualcosa da dire. Perchè si vuole fermare un’emozione che verrebbe consegnata all’oblio del tempo. Talvolta le emozioni sono talmente forti, sia positive che negative, che metterle su una pagina aiuta a trasformarle in qualcosa di tangibile, aiuta a dare forma, a dare un peso. A volte, addirittura, a capirle meglio, per sè stessi.
Scrivere è una forma di espressione, come cantare, dipingere, raccontare, …come le arti in genere. L’arte fine a sè stessa, una scultura su uno scaffale, coperta di polvere, un dipinto nascosto sotto gli altri, una canzone che nessuno ascolta, sono parole non dette, sono urla che nessuno sente. Da qui nasce il bisogno di pubblicare, perchè qualcuno legga e paghi per farlo, permettendoci di farlo ancora e ancora e ancora.
La vita della scrittore è romanzata essa stessa, nei film, nelle storie, … Sembra che gli scrittori si possano permettere di vivere su una baita in montagna o su una casa affacciata sul mare e scrivere quello che gli passa per la testa o per il cuore. Mah, forse, ancora, questo è lo stereotipo di una manciata di bravi scrittori che si possono permettere di vivere soltanto egli introiti dei libri.
I casi editoriali, poi, non mancano, ma si tratta di uan percentuale irrisoria e, a mio avviso, di grandi colpi di fortuna (fortuna? che roba è?) Vicnere lo Strega al primo libro è sicuramente un merito, ma perchè proprio quel libro è arrivato alla selezione? Anche se è indubbiamente meritevole, quali sono i passaggi perchè finisca proprio nelle mani giuste, al momento giusto?
Flaubert diceva Scrivere è una vita da cani, ma l’unica che vale la pena vivere. Perchè?
Mi piace questa frase, mi mette a posto la coscienza. Se l’ha detto Flaubert …
Scrivere mi consente di stare concentrato sulle emozioni, di nutrirmi della vita stessa, di ciò che io chiamo tale.
E’ difficile. indubbio. Non che altri mestieri non siano altrettanto duri, ma in questo caso si fanno i conti con un mercato ristretto (i lettori non sono molti) e con grandi scrittori che hanno messo in circolo libri che, sono il primo a dirlo, andrebbero latti prima di concedersi il lusso di perdere tempo su paginette mediocri.
E quindi? Se lo scenario è così nero, perchè insistere? Fino a che punto?
Forse la convinzione che ce la faremo? La passione? Oppure la consapevolezza che la vita vada scelta? Quanto il benessere diffuso ci consente di dedicare del tempo a scrivere anziché preozzuparci del pane quotidiano? Ci sono più scrittori anche perchè tra i tanti c’è chi non deve preoccuparsi di mantenersi?
Domande, dubbi, pensieri, difficoltà. Se non scrivessi non avrei nemmeno queste parole tra le mani e la consapevolezza che tu, anonimo o meno, leggerai fino a qui.
The road. Un grigio viaggio nella profondità dell’animo
Ieri sera ho visto The road. Se scrivo un articolo su The road, non so se faccio la recensione di un film, di un libro o se scrivo di un viaggio. Forse dei tre approcci scelgo il terzo. La storia racconta del viaggio verso sud di un padre e suo figlio. Verso sud vuol dire verso il caldo, verso temperatura più vivibili di quelle delle terre desolate e fredde in cui una pioggia radioattiva ha terminato la natura e le sue creature: gli alberi cadono, gli uccelli hanno perso l’intenzione del volo, Un viaggio in cerca di cibo, di riparo e di umanità. In cerca della sopravvivenza e della vita stessa.
In Italia la proiezione del film è stata bloccata perchè ritenuto troppo pessimista. Ho iniziato la visione con il pregiudizio di questa censura, che mi ha predisposto alla visione di un film grigio, non solo nei colori. Eppure il messaggio del film è per la vita, per la sopravvivenza ad ogni costo, anche contro l’inevitabile destino. per la ricerca del bene, di ‘quelli buoni’ che si aiutano anche quando non si ha niente, che non si ammazzano anche se il cannibalismo dovesse rimanere l’unico modo per nutrirsi.
Anche se molti dei film recenti raccontano di disastri apocalittici, The road cattura il realismo di un olocausto, combinando il futuro assoluto peggiore possibile, con una delle caratteristiche umane più belle e profonde: la perseveranza. Andare avanti in quel cammino verso sud e continuare a vivere. Il parallelismo appare scontato, ma un percorso tanto arduo non poteva che rappresentare la difficoltà della vita, da difendere fino all’ultimo, pur con la consapevolezza che è nostra libera scelta.
Perchè viaggiare è un desiderio tanto diffuso?
Sto leggendo L’arte di Viaggiare, di Alain de Botton. Secondo lo scrittore e filosofo, conta lo sguardo stesso del viaggiatore, il suo desiderio di vedere “davvero”. Anche lui prova a vedere “disegnando” per imparare a viaggiare e osservare tutti i giorni. anche nei luoghi che abitiamo e che forse non siamo mai stati capaci di guardare. Tra le pagine del libro si trova un modo diverso di guardare alle mete e ai luoghi, con attenzione a particolari culturali che fanno differenze maggiori delle distanze.
La letteratura di viaggio, tuttavia è maestosamente vasta, sorpattutto se si considerano i viaggi nelle varie accezioni, nei vari periodi storici e per diversi motivi, Si va dal viaggio di Dante dall’Inferno al Paradiso, dalle crociate e alle conquiste coloniale, dai viaggi di scoperta dei mondi oltreoceanici alle esplorazioni delle montagne, dai viaggi psichedelici ai pellegrinaggi religiosi.
Ma perchè l’uomo viaggia?
Se è chiaro che alcuni viaggi avevano delle profonde motivazioni che talvolta non erano nemmeno direttamente dei viaggiatori stessi, mi interessa soffermarmi su qlcune delle motivazioni che il Dott. Iacopo Bertacchi propone in un interessante articolo sul senso del viaggio.
il viaggio può essere un modo per scoprire altri aspetti della propria identità che nella vita quotidiana non riescono ad emergere…
…la necessità di uscire da una quotidianità percepita come soffocante …
…un modo per conoscere gli altri e attraverso gli altri, se stessi.
Chiara Meriani, invece, ha un blog dedicato al senso del viaggio e seppure cita Baudelaire e annovera tra le cause la stessa irrequietezza come necessità di conoscere sempre cose nuove, rispetto all’rticolo di Bertacchi, aggiunge:
Per trovare la libertà, bisogna uscire dalla struttura di un unico sistema e capire altre culture: è la possibilità di scegliere i modi in cui dare senso alla propria vita che permette di essere liberi.
Forse per quanto si cerchi di dare una risposta collettiva ad una domanda tanto ampia, si finisce con il rimescolare motivazioni e pensieri già raccontate da viaggiatori illustri come Bruce Chatwin o Marco Polo, o già rimescolate in diverse salse in articoli da blog più o meno originali.
Ancora una volta, quindi, quello che conta è ricomporre i pezzi che meglio si adattano a noi stessi.
Non a caso mi sono soffermato dull’irequietezza, un sentimento che ha spinto molti dei miei passi, la costrizione della quitidianità e la ricerca della libertà. Se questi sono il volano della partenza il motore è tenuto a regime dal desiderio di conoscere, dalla curiosità verso altri mondi. Se qualcuno dice che NON C’E’ PIU’ NIENTE DA SCOPRIRE, che ormai i Colombo e i Magellano sono già esistiti, io rispondo che la scoperta non deve essere necessariamente fatta per gli altri, per passare alla storia, per essere ricordati o diventare famosi. Le scoperte spesso dovrebbero bastare a noi stessi. Le scoperte alimentano le emozioni, la passione. per quanto esistano i libri, le guide turistiche, che raccontano ogni angolo, esiste sempre qualcosa che solo noi riusciamo a vedere. Una luce, un paesaggio, un volto.Nei libri e nelle guide non ci sono istanti e nemmeno non c’è l’adesso.
Non c’è limite alla scoperta se non si confonde il personale con il sensazionale, nel senso di incredibile e strabiliante.
La meraviglia, invece, è sempre possibile, e ogni viaggiatore la trasforma in quello che meglio crede.
A me, spesso,piace trasformare i viaggi in storie, in parole, in visioni. E quindi viaggiare e scrivere diventano quasi la stessa attività. In entrambi i verbi sento di essere libero.
Adrenalina da partenza e ansia da viaggio: il bello e il meno bello del viaggiare.
La funzione fondamentale dell’adrenalina è quella di predisporre l’organismo ad affrontare situazioni di emergenza sul piano fisico ed emotivo.
Nelle situazioni di incertezza e precarietà “provare adrenalina” equivale a sentire una sensazione forte che annienta tutte le altre; una sensazione però che anche quando non è piacevole viene spesso ricercata.
Un viaggio è indubbiamente una situazione di rischio, di incertezza. Certo, ci sono viaggi dove è già tutto programmato e stabilito per cui si riducono le possibilità di incorrere in qualche pericolo o imprevisto, ma recarsi in posti nuovi conoscere persone diverse, confrontarsi con culture sconosciute, aumenta la probabilità di trovarsi in situazioni nuove che non sappiamo come affrontare o gestire.
Per molti questo è un problema, una sensazione spiacevole, mentre altri ricercano proprio questo e trovano proprio in questa curiosità verso il non conosciuto lo stimolo per cimentarsi in nuove avventure.
Forse si può generalizzare dicendo che l’adrenalina che si sviluppa prima della partenza, che culmina in aeroporto o comunque quando decolliamo o salpiamo, è una sensazione positiva, quella che muove i viaggiatori, mentre l’ansia viene vissuta male.
Le cause sono probabilmente legate a qualcosa di profondamente personale e solo un percorso introspettivo individuale può portare a scoprirle e quindi vincerle.
Ma come possiamo fare per trasformare queste sensazioni in qualcosa di positivo?
Potete trovare qualche vademecum nei siti di psicologia che vi forniscono qualche consiglio utile, ma il mio suggerimento è quello di cercare le cose positive del momento, di dimenticarsi dei rapporti affettivi che ci legano a casa.
Focalizzarsi sul luogo, osservare, ascoltare, essere presenti con tutti i ricettori sintonizzati sugli stimoli che ci circondano.
Vivere un viaggio portando l’attenzione su quello che ci manca, su quello che non c’è non aiuta a cogliere la diversità del luogo, le difficoltà diventano insormontabili, mentre proiettarsi completamente nella nuova situazione aiuta ad affrontarle come un momento che ci appartiene, anche se non si svolge in un luogo famigliare.
Forse molti di noi sono abituati a sentirsi protetti nell’involucro delle abitudini. Queste rassicurano. Non ci costringono ad alcuna scelta. Il viaggio costringe ad una scelta e selezione costante, ma è quello che trasforma il viaggio in una crescita. I villaggi turistici, infatti, puntano proprio alla riduzione al minimo dell’iniziativa personale, proponendo pacchetti preconfezionati di attività ed escursioni.
Scegliere. Occorre imparare ad essere liberi anche sapendo scegliere dove andare a cena, cosa fare il giorno dopo, dove essere con tutto il corpo e la mente.
Diario di viaggio. Il valore di scrivere sulla carta.
“La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno. Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli. Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poichè è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente la natura e l’estensione di questo cambiamento.” J.P. Sartre, da La nausea ,
I piccoli fatti. Questo consente di fare la carta. La carta è immediata, è parte del viaggio. La carta assorbe l’odore, la pioggia. La carta brucia. Ci sono pagine dove ho provato ad imprimere un profumo, dove ho scarabocchiato la rabbia, pagine che ho baciato, che ho stracciato e poi incollato. Ci sono biglietti, indirizzi. La carta pesa, ma è ancora assolutamente insostituibile. Ci sono pagine scritte su fogli a righe, altre su quadretti di quaderni comprati a Cuba. E c’è questa pagina, nella foto. La prima di un diario comprato a Blantyre, in Malawi, dentro un piccolo laboratorio di carta riciclata, prodotta a mano da altra carta o da merda di elefante. Davvero. non ci credevo che un giorno avrei scritto su quel che era sterco gigante. Come scrisse J.P Sartre all’inizio de La Nausea, tenere un diario serve a vederci più chiaro, ma non necessariamente subito. Magari a distanza di giorni o settimane. E quindi la carta e solo la carta permette di appuntare e non di scrivere. La carta da viaggio non vuole necessariamente il senso compiuto. Il messaggio che contiene deve essere per forza trasformato, riletto, riscritto, prima di essere tramandato. Le sfumature. Quante volte me lo sono detto io stesso che sono quelle a dare vita ai colori. La polvere dell’Africa si puà quasi palpare tra le pagine ruvide di un diario che è esso stesso un pezzo di Africa. Sicuramente c’è qualche granello, qualche atomo di polvere, magari il sangue rappreso di una zanzara schiacciata tra le pagine. “La mia Africa comincia tra piedi scalzi e scarpe lucidate in città’ Ruvida e liscia. Sporca e lucente. Piena di contrasti e di chiassosi accostamenti. “Pensieri che vogliono diventare parole ” strisciate sulla carta come piedi sulla polvere. Come serpenti, come gocce. Una penna che scorre su carta e merda come piedi di bambini che calpestano la terra. Quanta Africa ho ritrovato in questa pagina, quando, dopo più di due anni, l’ho riaperta, riletta, riscritta. Se anche tu viaggi, se scrivi, fallo ancora e per molto tempo, sulla carta, con la penna. Tutto il resto (Tablet, Pad, Pod) non è ancora poesia. Nè viaggio. Nè emozione.
Alberto Granado Jiménez. Quando muore un viaggiatore…
5 Marzo 2011. Muore Alberto Granado Jiménez. Aveva 88 anni.
I motivi per cui voglio dedicargli un articolo sono tanti.
E’ nato a Cordoba, in Argetina, (Sono passato da Cordoba nel giugno 2009). Da Buenos Aires (aprile-giugno 2009) è partita la spedizione raccontata nel libro Latinoamiericana e film The Motorcycle Diaries che ho visto per la prima volta a Melbourne, prima di partire per un lungo viaggio alla scoperta dell’Outback australiano.
Quei 16000 chilometri sono parte del libro UN ANNO IN OTTO ORE.
Altri tempi, altro continente, altre ruote. Stesso spirito, stessa grande voglia di conoscere il mondo.
Che Guevara e Granado ribattezzarono la loro motocicletta La Poderosa.
Io e il mio compagno di viaggio guidavamo Il Pallottola.
Credo che i motivi che ci spinsero a dare un nome al veicolo fossero in qualche modo simili. Sia la Poderosa che il Pallottola non erano mezzi su cui scommtterci troppo. Infatti entrambi hanno ceduto ed ogni rottura durante un viaggio è inevitabilmente la miccia per inaspettati eventi sucessivi, nel bene e nel male. E’ l’imprevisto del viaggio, il fattore incalcolabile ma immaginabile. Sai che potrebbe succedere ma nè dove nè quando nè come. E in ogni caso, parti.
Granado, come me, era quello che annotava le vicende, le tappe, i chilometri.
Scrisse: “Prima volevamo conoscere il mondo, dopo volevamo cambiarlo”.
Non è questo ciò che muove i viaggiatori? Questa voglia di conoscere il mondo che spinge sempre oltre e altrove?
Di Che ce n’è uno. Forse lui è riuscito a cambiare il mondo, o un pezzo di mondo. Ma non è questo il punto. Il mondo lo si cambia anche solo viaggiando, perchè conoscendo, apprendendo, confrontandosi, si cambia il modo di essere e di vivere, per avvicinarlo ad uno stile umano che va oltre il proprio territorio. Viaggiando si capisce che i confini degli Stati sono solo un fattore politico che con il tempo è diventato culturale. Le limitazioni orografiche e idrografiche coincidono in minima parte con limitazioni politiche.
Granado si era trasferito a Cuba nel 1961. Ed è a l’Avana che è morto.
Cuba, ultima tappa del mio viaggio di 681 giorni.
Chi è stato a Cuba probabilmente si visualizza il personaggio in maniera diversa. Forse anche la sua morte.
Era un tipo gioviale, simpatico. guardando le sue interviste e le sue foto mi viene voglia di ballare. E’ come se avesse avuto il tempo di farsi tatuare sulla pelle il sole dei Caraibi, la musica di Cuba. E’ vero, è una delle isole più isolate del mondo, ma c’è uno spirito, là dentro, che è ancora quello genuino con il retrogusto della semplicità.
Non so cosa si provi ad essere l’amico del Che. Non che essere amico dei miei amici sia meno importante, ma sapere di avere iniziato con lui un sogno che ha toccato il mondo intero, forse ha il sapore di una risposta. Una. Alle mille domande del perchè viaggiamo, del perchè anche oggi cerchiamo l’avventura.
In motocicletta, in vespa, a piedi, col furgone, in biciletta. Forse è viaggiando che cominciano i sogni. Quelli che credevamo che si potessero estinguere arrivando…dove?
Quando, alla fine, muore un viaggiatore, rimangono le tappe, i chilometri, le orme. Rimane quello che è cambiato solo per il fatto che di qui/lì siamo passati.
Cos’è il viaggio? Chi è il viaggiatore? I diversi tipi di viaggio.
Sono tornato un anno fa dal lungo viaggio da Città del Capo a L’Avana.
Da tre mesi vivo a Berlino. Ho una casa, frequento un corso intensivo di tedesco, lavoro.
Sono in viaggio?
Tecnicamente no, non credo che sia sufficiente vivere in una città o nazione diversa da quella di origine per poter dire di essere in viaggio. Se la migrazione è definitiva o progettata per durare a lungo, si tratta di fatto di un trasferimento.
Tuttavia al di là della retorica per cui “la vita è un viaggio (e viaggiare è vivere due volte)”(Omar Khayyam) effettivamente se non sono in viaggio, sono quanto meno in movimento.
Generalmente si parla di viaggio quando vi è uno spostamento piò o meno continuo per un periodo più o meno lungo, ma come si sa, ogni viaggio comporta anche un cambiamento interiore e quindi un moto dello spirito. Che movimento e spostamento debbano coesistere per poter rientrare nella categoria viaggio non è scritto nella definizione, che anzi, contempla entrambe le possibilità: viaggio fisico e metaforico.
A questo punto dipende dalla indole personale e da quanto ciascuno di noi sa e vuole viaggiare nella propria mente, nella propria quotidianità, nel proprio territorio e nel mondo.
Detto questo alla domanda se sono o meno in viaggio rispondo si, lo sono sempre.
Cambio velocità, modi, compagni, percorsi, paesaggi, ma non credo di essermi mai fermato troppo a lungo.
Anche in questo caso i gli aggettivi e le caratteristiche notoriamente riferite ai viaggi intorno al pianeta sono applicabili ai viaggi interiori.
La velocità, per esempio, è determinata dalla quantità di stimoli che ricevo dall’esterno, che accelerano il pensiero accostando immagini, visioni, fantasie. Oppure i paesaggi, che snon sono altro che i territori della cultura e delle diversità che adoro esplorare.
Per esempio per quanto la Germania sia un Paese Europeo, e fossi convinto di conoscerlo a sufficienza da preferire viaggi in Africa o Sud America, mi stupisce per le sfumature che colgo apprendendo lentamente il linguaggio, per come vengano affrontati i problemi sociali, per la forma mentis diversa dei tedeschi (al di là dei luoghi comuni che tendono a banalizzare i dettagli), per il clima. Già, il clima. Si legge sui libri, si sente nei bar la vecchia storia che al nord la gente è più fredda rispetto ai Paesi mediterranei. Ma prima di questi tre mesi in Germania non sapevo esattamente cosa volesse dire avere freddo, essere freddi.
Un capitolo a parte meriterebbe la scuola di lingua. Ogni lezione è un viaggio.
La classe attuale del secondo modulo del primo livello dell’Integrationkurs è composta da un brasiliano saxofonista jazz, due turche, un marocchino cuoco, un francese-serbo tecnico luci di teatro, tre italiani disoccupati, una spagnola videoartista, una libanese incinta, un’australiana silenziosa, un ganese simpaticissimo, una Barbie polacca e un polacco meccanico, un ceceno col braccio spezzato, tanta barba e nessun capello. La maestra camerunese non ce l’ho più, in compenso due signore tedesche stanno cercando di insegnare questa ostica lingua a questo miscuglio di gente e colori. Basta fare l’appello per aver viaggiato mezzo mondo. Basta che qualcuno faccia un gesto con la mano per richiamare l’attenzione perchè un altro creda che sia finita la lezione.
Viaggi della mente, viaggi di lavoro, viaggi turistici, viaggi fantastici, viaggi lunghi e brevi.
Come non è la macchina a fare il fotografo, un libro a fare lo scrittore, non è il viaggio a fare il viaggiatore. Viaggiatori si è. Si diventa, ma a mio avviso non si nasce. Al massimo si cresce viaggiatori, invogliati da genitori e amici con i motori sempre accesi, i piedi sulla strada, le chiappe su una sella.
Sono in viaggio e quando mi rendo conto di esserlo, quando, come ora, ho il tempo (e anche la voglia) di raccontarlo, mi accorgo che il mio viaggio è fatto di tappe lunghe, di tempi lenti, di rapporti umani. Certo, vorrei potermi estasiare di fronte al Macchu Picchu più spesso, ma mentre cerco di risolvere il conflitti interiori che mi spingono a cercare sempre altrove quello che sembra mancare intorno a me, maturo la convinzione che essere viaggiatori è uno dei possibili modi di essere, condizione che alimenta sè stessa con il continuo desiderio di andare.
The journey as an escape and evasion. From what?
I say I am a traveler, that I love to travel, I want to travel. I say this to me, to convince myself selves that it is true. Then, once in a while, I think. And I wonder why I travel? Why I want to travel?
Even if I am not currently moving, I am not stopped and I play this ambiguous role in a land that is not mine. But about this static traveling, I have already written.
Now I would like to linger over one of the many facets of the trip: the escape.
Am I escaping? Am I running from something, from someone?
As I wondered I stumbled upon a very interesting article by Erika Eramo (in Italian, dor other interesting articles in English see links below). The journalist and writer published on the magazine Aperture an article titled Travel as futile escape from the ego: tecum sunt quae fugis, tosses and turns, however, when it comes to travel as an escape the two most important references are: Seneca and Baudelaire.
The first deals with topic in the Moral Letters to Lucilius (Letter 28. On travel as a cure for discontent). The second in Les Fleurs du Mal.
However Seneca writes to Lucilius quoting Vergil and with a series of rhetorical questions he tries to explain that the journey is not a way to escape, because what we are trying to get away from is our ego.
Do you suppose that you alone have had this experience? Are you surprised, as if it were a novelty, that after such long travel and so many changes of scene you have not been able to shake off the gloom and heaviness of your mind? You need a change of soul rather than a change of climate. Though you may cross vast spaces of sea, and though, as our Vergil remarks, Lands and cities are left astern, your faults will follow you whithersoever you travel.
Baudelarire, instead, chose to escape from the senses, with the use of drugs and alcohol. This was a different way to achieve the same goal: to escape, even from himself, from his grief, from what the poète maudit called Spleen
The years and centuries go by, but the man does not seem to change. Only a decade ago A. A. Tarkovsky wrote:
There is only one possible journey: the one in our inner world. I do not think you can travel more in our planet. Just as I do not think you travel to return. Man can never return to the same point where he started, because, in the meantime, he has changed. Man can not escape from himself. In the journey we carry with us all what we are . We bring with us the house of our soul, like a turtle with its shell. In truth, the journey through the countries of the world is for the man. a symbolic journey. Everywhere he goes is your soul that is looking for. For this reason a man should be able to travel.
(trasnlated by Dario Sorgato)
Even in the case of a two weeks holiday or a weekend in the mountains, the journey becomes an escape: from routine, from the city noise, traffic. But in these cases is a normal need to change the environment, scenery and recovering.
It is obvious that this is not the case. The journey as an escape from oneself is something deeper, more visceral. A kind of necessity that once carried out it seems to take a certain appeal. It is very likely that all great travelers had a reason within that fed the desire to discover and explore, but we get only the miles traveled, the notes written, the pictures taken. But what was inside their minds, their hearts? What prompted them to go? In the same way I asked myself if my travels are and have been an end in themselves, or I rid myself of the burden that rests upon me (Seneca)? Which one? From what I escape? From what, to whom shall I hide? The answer is once again one. From me.
The question, in fact, is another.
Why?
Maybe because I have not accepted who I am, as I am. Perhaps because somehow I have always hidden, and now I have only found another way to continue to do it, more profitably. Maybe I did not accept my faults, my problems and trying to hide those I started to hide myself. Creating other Me. Each one with a different role, to be played on different occasions and situations. And now, that I would only want be one, I don’t find me and meanwhile I’m nobody. I run away from me, and I think I can find nyself far away. Then, I look for ne in the best places, no doubt. While I am looking I find pieces of the world that by land or by sea made me love what in the journey we inevitably discover and learn, know, live and share.
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