6 Dicembre 2008
South African Navy Dock
Simonstown
South Africa
Ondeggio.
Avanti e indietro.
Soffia un fortissimo vento, probabilmente intorno ai 40 nodi.
Una mezza luna accesa sopra il mare rischiara la baia, definisce le barche ormeggiate poco lontano, l’enorme nave militare dall’altra parte del molo.
Il rosso del ponte dell’Heraclitus si intravede nei riflessi.
Su e giu’.
Ondeggio da 4 giorni.
L’Heraclitus e’ tornato in acqua.
Lentamente.
Adagiato su una piattaforma di legno.
Come prima di un tuffo in piscina. Ti siedi sul bordo e infili un piede nell’acqua per testare la temperatura. Lo ritiri immediatamente. Pochi secondi dopo lo immergi nuovamente e lasci che il piede si abitui alla differenza di temperatura.
Poi infili l’altro.
Osservi i tuoi piedi sotto il pelo dell’acqua e disegni cerchi, figure.
Pensi.
Quello e’ un bel momento per pensare.
Piedi nell’acqua, voglia di un tuffo, pelle bollente.
Per l’Heraclitus e’ stato cosi’.
Dopo piu’ di 200 giorni fuori dall’acqua e’ tornado nel mare.
Scintillante, pulito, rinnovato.
Eravamo tutti a bordo, eccitati, gli occhi proiettati sull’enorme trattore che doveva trascinarci lungo le rotaie.
Nonostante la potenza del motore le ruote dei blocchi sotto la chiglia non volevano muoversi.
Cemento, sabbia, acqua, polvere, pittura.
Alcuni dei pezzi di metallo che tenevano assieme i blocchi poggiati sulle rotaie hanno ceduto. Un gruppo di operai del dry dock si affrettava a ripristinarli.
Dopo un po’ uno scossone ci ha costretti ad aggrapparci a qualche corda, a qualche barra di metallo per non cadere.
Ci stavamo muovendo.
Eravamo su un binario ma non dentro un treno.
Eravamo i 13+1 che hanno preparato l’Heraclitus per tornare nel mare.
Eravamo increduli.
Un incrocio di rotaie, movimenti e meccanismi ha spostato la barca sopra una piattaforma di legno e pochi minuti dopo abbiamo cominciato a scendere.
I piedi nell’acqua.
Ma era troppo fredda.
E cosi’ siamo tornati su.
Un’altra notte fermi.
Il tuffo e’ rinviato.
Tanto per cambiare, in nome di Heraclitus.
Il giorno dopo e’ quello buono.
Neinte piedi in ammollo.
Tuffo di testa,
Senza esitazioni.
E da allora si galleggia.
E’ incredibile, ma questo vascello rosso e nero, con un nome in poppa e due occhi in prua, galleggia di nuovo.
E l’abbiamo riposrtato in acqua noi,
Ora viviamo, mangiamo, lavoriamo in barca.
E’ la nostra casa e laboratorio,.
E’ il vascello che ci portera’ in Brasile,
La partenza e’ prevista per il 13 dicembre, ma inutile dirlo, tutto cambia.
Un bottiglia di vino appoggiata sul tavolo sotto il timone, che e’ anche la pedana su cui salire per manovrarlo.
Odo risate provenire dalla cucina. \
Qualcuno si sta sistemando la cuccetta.
Avanti e indietro.
Gioco di nodi, tensioni, scricchiolii, maree, banchine.
Ieri eravamo ormeggiati dietro un sottomarino, ma ci hanno costretti a spostarci per ragioni logistiche e di sicurezza.
Il capitano in piedi sul parapetto, aggrappato ai cavi d’acciaio che reggono l’albero di poppa.
Fede al timone. Eddie e Michelle alle cime.
Tutti pronti a spostare i parabordi dove occorre perche la barca non sbatta contro il molo.
Un’operazione delicata.
Questo vascello non e’ facile da manovare.
Eppure ha funzionato tutto alla perfezione. Credo.
E’ strano. Siamo circondati da marinai in divisa, navi militari e motoscafi della polizia.
Tra il bianco, il grigio e il mare ci siamo noi.
Che cantiamo canzoni prima della cena, beviamo vino e birra sul ponte, lavoriamo costantemente e proteggiamo le corde perche’ non si rovivinino sfregando contro il molo.
Abbiamo copertoni e cesti di vimini appesi lungo i bordi.
Siamo rossi e neri, siamo un mix abbastanza eterogeno di lingue e culture.
Siamo pronti a partire.
Ormai ci siamo tuffati ed e’ tempo di tornare a nuotare.
Talvolta provo a staccarmi dalla situazione e osservo con coscienza. Con precisione.
Provo a concetrarmi sul vento, sui passi che sento sopra il pavimento di legno nuovo di zecca.
Provo a ricordarmi che sotto di me c’e’ acqua e stive ancora asciutte.
Riordino la mia cuccetta sperando di avere tutto quello che mi serve per le prossime settimane.
Ho appeso qualche tessuto del Malawi e un paio di Batique del Mozambico.
Ho addobbato il moi piccolo mondo con l’Africa che sto per lasciare.
Ho comprato qualcosa da sgranocchiare, qualche medicina, un paio di libri.
Ho comprato penne.
E pagine bianche per fermare quello che non cambia,
Per registrare quello che non potro’ raccontare.
Magari mai.
Forse avro’ parole per il giorno del moi ritorno a terra.
Forse saranno dentro qualche bottiglia destinata a spiagge lontane.
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