VIAGGI, PENSIERI, EMOZIONI
--------------------------------------

Friday, December 31, 2010

2010. Cosa salvare?

Ho detto addio alla ragazza più bella, brava, buona e dolce che abbia mai conosciuto.
Ho concluso un viaggio di 681 giorni.
Si, è vero, sono tornato a casa. Questo è bello.
Ma tornare a casa deve essere un passaggio, non una sosta.
Ho trovato un'Italia putrida, malsana. Alla quale non mi sono ancora abituato, per fortuna.
Il 2010 è passato senza che me ne accorgessi, senza che riesca a trovare qualcosa di positivo, di veramente positivo per cui valga la pena essere salvato.
Ora vado a preparare le lenticchie per stasera, sperando che un po' di superstizione serva a portare un po' di fortuna al 2011. Nel frattempo ci penso. Penserò a cosa salvare e se salvare questo anno, fatto di numeri belli da  da scrivere, ma forse tutto da dimenticare.
Dovrei ricorrere alle frasi tipo
'Ma ogni minuto della vita vale la pena essere vissuto, perchè la vita è bella e tutto insegna.'
No, per il 2010 non è così.
Se me lo fate sparire mi fate un favore.
Forse un giorno vedrò il senso di tutto questo. Arriverò a capire perchè c'è stato il 2010 per me. 
Fino a quel giorno....non lo voglio ricordare.


Tuesday, December 21, 2010

Aeroporto, territorio di confine




Mancavano due ore all’imbarco. Mi ero avviato all’aeroporto con un largo anticipo per il timore di incorrere nei problemi che hanno costretto moltissimi passeggeri in volo da Berlino a rimanere a terra, intrappolati dentro autobus fermi, treni in ritardo e taxi in coda. Avevo comprato una tazza di caffè bollente e un bicchiere d’acqua. Avevo trovato un bel divano rosso, con una lampada proprio sopra il tavolo dove avevo appoggiato il mio computer. Era tutto pronto per navigare in internet prima di volare in Italia. Avrei voluto scrivere proprio di quel momento, dell’aeroporto. Avrei voluto pubblicare un articolo sul mio blog, per raccontare di un viaggio dal mio confine preferito. Forse l’unico che abbia veramente un senso.
L’aeroporto si trova fisicamente nel cuore di una Nazione, vicino ad una città, più o meno grande, c’è un passaggio che ha addirittura una sua forma materiale e un momento: il metaldetector. Oltrepassi il controllo della polizia, ti spogli prima di passare sotto il portale, ti fai palpeggiare, ti togli le scarpe, la cintura, ti cadono i pantaloni ma ti chiamano per farti aprire il bagaglio a mano e chiederti cos’è quella cosa nera, che non riescono a decifrare. Quando hai svelato tutte le ambiguità che trasporti, sei pronto per rivestirti ed entrare in quel territorio di nessuno, tra la terra e il cielo, tra Berlino e il resto del mondo, tra la Germania e il tuo Paese, tra un albergo e casa tua.
Luccicano, gli aeroporti. C’è profumo di pane, di Dolce e Gabbana, di gente. Al terminale degli arrivi c’è una miscela di mondo più variegata che a quello delle partenze. Da questa parte sono tutti un po’ tedeschi. Hanno addosso la neve della notte precedente, le scarpe pesanti, lunghi calzettoni di lana sotto i jeans.
Fischiano, gli aeroporti. Con il fastidioso sottofondo dell’aria condizionata sparata da enormi tubi sospesi o nascosti dentro chilometri quadrati di controsoffitti. Con il terribile sonar che tradisce un ladro, con il sibilo di un codice a barre che non si fa riconoscere. Suoni di carrelli e valige trascinati da una parte all’altra con il salto intermittente tra le mattonelle o le vibrazioni assordanti di un pavimento sospeso pieno di piccole tacche antiscivolo che trasformano il trolley in una motosega.
Stridono le turbine, un rumore assordante e intollerabile per più di una manciata di secondi. Ultimo suono violento prima di un sottofondo pressurizzato che, ancora, non è né aria né terra. Ancora, un confine.
L’aereo e il mezzo di trasporto che mi piace meno. Mi piace volare ma non viaggiare in aereo. Mi incuriosiscono i cibi inscatolati dentro vassoi composti e perfettamente uguali. Assaggio sempre tutto e finisco quel surrogato di pasto con un surrogato di caffè che mi scotta immancabilmente il palato.
Volo, dormo, leggo, penso, scrivo.
Non sono niente. Forse è in questo che mi identifico. In questo essere marinaio del cielo in un porto di terra ma in partenza per l’aria. Un biglietto in tasca e una destinazione decisa già da un po’ di tempo. Non si può cambiare né rotta né orario. Ho deciso tutto seduto davanti a quel computer che non ero riuscito ad aprire al mondo.
Mi ero dimenticato, tuttavia, che lo posso comunque aprire ed usare, per scrivere ed essere soltanto qui. Con parole pronte a partire. Con me, come me.

Tuesday, December 14, 2010

Berlino, uno stile di vita


Ti è mai capitato di saltare una stagione? Se sei nato ad una latitudine di clima temperato sei anche abituato ad un costante alternarsi di stagioni, con una netta differenza tra estate e inverno. Se per un anno salti completamente una stagione è inevitabile avvertire questa mancanza.
Mi è mancato l’inverno. Il freddo, la neve.
Anche in Italia fa freddo e in molte località è scesa la neve. Io sono venuto a vederla a Berlino.
Sono tornato in questa città e da qui mi accorgo che ho saltato un inverno.
Nelle città del nord Europa l’inverno e in modo particolare il periodo natalizio hanno un sapore particolare. Più volte ho gustato tazze di vino caldo sotto le tettorie di legno delle casette e delle baracche distribuite nelle piazze di Stoccarda, di Monaco, Berlino, appunto.
Non credo ci sia altra città fuori dall’Italia in cui sono tornato così spesso a distanza di alcuni anni.
2000. Avevo 22 anni. Alloggiavo in un ostello della zona nord. Odysee. Esiste ancora. Sono andato a controllare. Stesso tavolo lungo con le candele infilate nel collo delle bottiglie. Stesso biliardo.
Prima di andare all’Odyssee io e i miei amici avevamo alloggiato in un altro ostello più in periferia, in una zona che ho saputo soltanto ora che all’epoca era una delle peggiori.
2005. Viaggio in camper con pausa a Monaco sia all’andata che al ritorno. Una settimana in dieci amici distribuiti su due appartamenti e un albergo. Non so se sia perché anche all’ora c’era la neve, perché il periodo era quasi esattamente lo stesso, ma sembra che sia tutto sigillato sotto uno strato di bianco. Quell’angolo di Kreuzberg tra il canale e il ponte ricorda l’interno di una semisfera di cristallo. Anche i cigni che galleggiano sotto il ponte nei triangoli d’acqua non ancora ghiacciati sembrano gli stessi.
Mi piace camminare per le strade, riconoscere le vie, e piano piano ritrovare ricordi mai pensati e scoprirli vergini e freschi e vividi.
Mi piace ricordare le mie passeggiate, il freddo ai piedi, le voci, le risate.
Mi piace tornare. Ne ho sempre avuto una forma di timore.
2007. Un weekend di passione.
2010. Vengo a  Berlino quasi per caso, poi, pensandoci, mi accorgo che ho anche diversi amici in città. La scopro di nuovo, piano piano, partendo dall’esterno, senza la paura di non aver tempo. Mi faccio penetrare dal freddo fino al centro delle ossa, mi viene un fortissimo raffreddore.
Vivo in una casa di un quartiere che non conoscevo anche se forse ci sono già stato.
Mi sembra che pulsi un modo diverso di vivere.
Per certi aspetti più libero e semplice, altre volte mi viene da interpretare questo mondo creativo come un covo di disadattati in cerca di un senso.
Fino a che punto vedi all’esterno quello che sei piuttosto che quello che realmente è?
Non è in realtà sempre così?
Siamo attratti da quello che siamo e tendiamo a trovare quello che stiamo cercando.
Forse in questo periodo sto ancora digerendo il mondo dentro oppure lo sto trasformando nel mio futuro.
Tuttavia qui più che altrove trovo un’alta concertazione di gente che vive secondo un proprio modello e non secondo uno schema altrui. Tutto diventa il contrario di tutto.
Perché un campo d’orzo non è come un allevamento di polli? Perché i maiali hanno sentimenti? E che ha mai ascoltato un maiale? Non sappiamo decifrare un muggito tanto quanto il pianto di una sequoia.
In questi estremismi risiede la libertà, che sempre cerco eppure ne scopro sempre più l’irraggiungibilità per la sua inesistenza assoluta. E i compromessi sono sempre discutibili.