VIAGGI, PENSIERI, EMOZIONI
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Tuesday, June 23, 2009

Differenze

Curitiba! Curitiba!
Ehm??
Siamo a Curitiba! urlava l´áutista, mentre io lo guardavo infastidito perché mi aveva svegliato. Ero riuscito a prendere sonno intorno alle 2:30, dopo la pausa in non so quale stazione nel mezzo della notte del Parana, una regione a Sud del Brasile.
Il pullman era vuoto. Si erano accorti che c`era ancora qualcuno a bordo perché avevano trovato uno zaino enorme nel vano portabagagli.
Ah, dev'éssere dell´italiano! avranno pensato.
L´Italiano era stravaccato su due sedili completamente distesi e stava dormendo della grossa. Stava pure sognando.
Scesi barcollando le ripide scale che conducevano e mi affacciai su Curitiba, che mi aspettava sul marciapiede a pochi centimentri da me.
Erano le 6:20 del mattino e in fondo alla strada che conduceva alla affollata stazione si alzava un velo rosa, parzialmente nascosto dai grattaceli.
Quelle di martedi notte notte sono state le ultime 10 ore di viaggio in bus. Buenos Aires~Curitiba con alcune tappe intermedie.

ARGENTINA. Buenos Aires, Villa de las Rosas(Champaqui), Cordoba, Posadas, S .Ignacio, Sant´Ana
PARAGUAY. Encarnaccion, Trinidad
ARGENTINA. Puerto Iguazu
BRASILE. Foz do Iguaçu, Curitiba

I capitoli Iguazu e Missiones meritano una trattazione dettagliata e specifica. Paraguay e diga di Itaipu` pure.
Non ora. Nel frattempo si possono vedere le immagini, che per certi aspetti, si raccontano da sole.
http://rogosdraiato.spaces.live.com/default.aspx?sa=905095408
Visto che per tre giorni mi sono trovato in un territorio a tre fontiere e che attraversando il ponte sul Rio Iguazu sono rientrato in Brasile, vorrei spendere due parole su alcune differenze curiose che mi sono rimaste impresse in questo palleggio Argentino-Brasiliano.
I Brasiliani e gli Argentini non si sopportano l'un l'altro.
Al punto che una cameriera brasiliana ha preferito che le parlassi in inglese anziche`nel mio maccheronico castigliano che ha ovviamente una connotazione argentina.
In un altro locale per lo stesso motivo mi hanno retrocesso nella fila per il bagno. Quando ho chiarito l`equivoco, in quanto italiano ho guadagnato un paio di posizioni.
Ci sono numerosi scherzi e battute che non sempre hanno connotazioni puramente goliardiche.
Sul fronte culinario sono rimasto abbastanza sorpreso dal fatto che in Brasile la pizza la servono già tagliata a spicchi. Il cameriere appoggia il piatto grande sul tavolo, te ne serve uno spicchio ponendolo su un altro piatto e poi si procede a trasferire la pizza da un piatto all'altro, ottavo dopo ottavo. Mah...
Interessante tutto il panorama dei trasporti, urbani e internazionali. I bus Argentini su cui sono salito sono piu`lussuosi e moderni dei brasiliani. In Brasile controllano sempre il documento, anche per gli spostamenti interni, e pesano il bagaglio... che sia un complesso di inferiorità nei confronti degli aerei? In Italia e in Europa il bus per le lunghe percorrenze non e`un mezzo che contemplo.
In Argentina si sale sul bus urbano dalla porta anteriore e si paga inserendo le monete in una macchina che restituisce i biglietti. In Brasile cè`un uomo che fa lo stesso lavoro della macchina. Dopo aver pagato si deve far ruotare un durissimo e strettissimo cancelletto che permette l'accesso alla zona con i posti a sedere. I grassi e gli invalidi possono sostare dall'altro lato del cancelletto. A Parati si sale dalla porta posteriore. A Foz de Iguaçu da quella anteriore.
Curitiba e`una città all`avanguardia in tema di trasporti.
E`la prima città al mondo dove sono stati messi in circolazione i bus snodabili, con due o tre snodi.
La città e`disseminata di piccole stazioni, costituite da dei cilindri orizzontali in vetro e acciaio. Si paga un ingresso di 2.20 R$ e si accede ad una delle stazioni cilindriche. SI possono effetuare dei cambi e dei trasbordi tra due autobus che sostano alla medesima stazione. In poche parole funziona come una qualsiasi rete metropolitana, solo che e`su gomma.
Stesso discorso vale per le grandi stazioni terminali. Si paga l'ingresso alla stazione e non al bus. Quando si accede al bus dalla stazione principale si sale dalla porta posteriore senza passare per il cancelletto pericoloso.
In Italia generalmente si compra il biglietto prima di salire e si convalida sul veicolo. Tradotto: e`molto piu`facile non pagare.
In Brasile lavorano due uomini per ogni bus, ma tutti sono costretti a pagare la tariffa. In Argentina installano una macchina che fa il lavoro di un brasiliano. In Ialia assumono solo un conducente e una volta ogni tanto salgono a bordo un vigile urbano e quattro scagnozzi con cappelli e divise, che passano gli utlimi anni prima della pensione (o i primi della carriera se donne) a compilare multe ai vari AIEIE BRASOF che cercano di fare i furbi. E non sentono ragioni. Quella volta ogni tanto...si rifanno dei soldi non guadagnati per non pagare un brasiliano o comprare una macchinetta argentina.
Ed ora le differenze piu`intime.
In Italia abbiamo il bidet. Utile sanitario che scarseggia nel resto d'Europa.
In Olanda spesso hanno la tazza in un piccolo stanzino con piccolo lavandino, separata dal resto del bagno.
In Argentina hanno il bidet. Ma anche in questo hanno fatto un passo avanti. L'acqua esce da una medaglia di metallo posta al centro del bidet, in posizione MOLTO strategica.
Aprendo il ribinetto il getto dovrebbe raggiungere la zona desiderata, a meno di qualche errore di mira. Cosa che ho sperimentato ritrovandomi il potentissimo getto sotto il mento. O sotto le palle, che non e`poi cosi`male.
In Brasile in alcuni casi si incontra lo stesso bidet, verde o azzurro, ma il piu`delle volte c`è una canna con pistola all'èstremità, posizionata a lato della tazza, con la quale si possono eliminare... insomma.... e`chiaro no?
Io sono per la canna con pistola, perchè non devo scomodarmi per andarmi a sedere su un altro sanitario, rischiando di inciampare con i pantaloni alle caviglie.
Sia in Brasile che in Argentina accanto alla tazza c`è sempre un cestino: è per la carta igenica. Non va tirata nell`acqua. La spiegazione che mi sono dato è che non cè`abbastanza pressione per spingere la carta attraverso le tubature, ma non escludo il fattore ecologico.
In Brasile l'acqua calda e`una rarità. Si usa solo per la doccia.
I soffioni della doccia hanno una resistenza elettrica che riscalda l`acqua. Impossibile farsi una doccia bollente e qualunque doccia l`ho fatta col terrore di rimanere fulminato, suggestionato da fili collegati alla meno peggio e ricperti di nastro isolante.
Meglio le secchiate che mi rovescio addosso quando mi faccio la doccia in barca.
Chi piu`ne ha piu`ne metta, non siamo solo noi itlaiani ad essere diversi dagli svizzeri.
Di differenze ce ne sarebbero ancora molte da elencare...

Ora sono a Curitiba, a casa di un amico del cammino di Santiago. Santiago, appunto.
Si e`trasferito qui due settimane fa.
E' bello, ogni tanto, incontrare una faccia nota e passare qualche giorno assieme.
Poche ore fa, per esempio, siamo stati a vedere uno spettacolo di teatro, solamente mimato.
Ieri un po`di samba dal vivo...
E`la quarta volta che incontro un amico di vecchia data.
Aldo, Italiano amico dell'università, inconrato a Maputo, in Mozambico
Cecilia, argentina, conosciuta in Australia, icnotrata a Buenos Aires
Alvaro, uruguaiano conosciuto in Sud Africa, incotnrato a Montevideo
Ed ora Santiago, spagnolo conosciuto a Leon, lungo il cammino di Santiago, incontrato qui, a Curitiba.
Ora e`nell'altra stanza che dorme, con suo marito.
Io non riesco a dormire. ho ancora la pancia piena del pranzo ( sono le 2 di notte). Sono stato a mangiare in una churrasqueria, ovvero un ristorante dove cè un buffet con contorni, formaggi e sushi e poi una sfilata di camerieri si avvicina al tavolo per proporre diversi tipi di carne e pasta ripiena.
Io ho fatto la scorta.
La carne e`infilzata in lunghi spiedini di metallo, la tagliano con affilatissimi coltelli davanti ai tuoi occhie e te la pongono sul piatto, maneggiandola tra il coltello e il forcxhettone che tengono tra le dita con destrezza da samurai.
Scivolano cuori di pollo, cuori di agnello, pezzi di vacca e di altri animali.
Agnolotti di zucca, di ricotta, di funghi....
Da non capirci nulla.
Ho concluso il pranzo con un piatto di rucoia e dei pezzi di formaggio invecchiato simil-pecorino con marmellate e miele.
Domenica sarò a Salvador de Bahia, dove mi aspetta l`Heraclitus.
Continuero`a navigare.
Non so quali saranno le tappe, ma le ultime notizie riferivano Porto Rico, Cuba...
Con una lenta risalita lungo le coste del Brasile.
Ovviamente il mio numero Argentino non è piu`disponibile e per i saluti potete usare il numero italiano.
Da ora in poi i piani non dipendono piu`da me. Torno a fare i turni di guardia a cucinare, pulire, manovrare e visto che me la sono squagliata per un po' credo che mi faranno sgobbare parecchio.
Appena posso mi faccio risentire.
Qui, come sempre, con Parole in Cammino. (e questa e`una conclusione alla Marzullo)

Ciao Jacko....
Continuerò a ballare.

Tuesday, June 16, 2009

Caleidoscopio



Adesso si te lo racconto.
Vieni qui.
Siediti su questa sedia, su questo pavimento di legno marcio. Su questo tetto, di questa città.
E' deserta, la città.
E'piena di aria fredda, luci violente che cammuffano le forme e qualche sagoma di uomo che non sa dove andare.
Siediti.
Spegni la sigaretta, appoggia le scarpe. Metti le tue suole a tacere, sfregale sul legno e puliscile della strada che hai camminato.
Asciugale. Stringi le ginocchia l'una contro l'altra e smettila di soffiare aria dal naso. Devi stare in silenzio come tutte queste vie, cosi' chiassose fina a poche ore fa.
Dove sono andati tutti quanti? Correvano. Correvano tutti. Mi strisciavano addosso piu' veloci di tutte le cose che avevano da fare.
Siediti.
A qualche metro dal rumore che si appoggia come polvere lacerata dalla luce di una vecchia stalla, finalmente era pronto per ascoltare.
A me tremavano le gambe, ma cercavo di fare in modo che non si notasse, tenendole distese e accentuando il movimento pneumatico involontario con cui tamburellevo una lamina di legno leggermente prosiugata nei mesi d'estate.
Pero' cominciai a parlare.
Era una un raggio di sole che penetrava una finestra con vetri blu quella mappa del giorno appoggiata sul pavimento lastricato di pietre rosse.
Accoglieva il mio primo passo all'ingresso di un labirinto di caverne perfette che non riuscivo a percorrere in posizione eretta.
Si srotolava davanti a me, come un tappeto reale, per separare le dodici ore di viaggio dalla dimensione in cui mi avevano condotto.
Avevo viaggiato tutta la notte, su un autobus apparentemente di lusso. Mi avevano servito una cena d'aereoplano, costringendomi a mangiare ocn una mano perchè l'altra era impegnata a non spandere il vino. Poi avevo provato a dormire, semidisteso accanto ad un ragazzino spaventato dalle storie che gli sussurrai senza sapere nemmeno il suo nome.
Gli raccontai di quella notte in un paese di cui non ricordavo il nome. C'erano tanti bambinie pochi genitori. I bambini tenevano in mano palloncini colorati e urlavano. Urlavano. Con quelle voci terrificanti della loro contentezza. Strillavano tuti assieme ed era impossibile capire cosa dicessero. Era un suono unico. Senza significato. Dopo un po', pero', decifrai involontariamente una frase. poi un'altra. Due parole. Altre due. Erano sempre due. Al massimo tre.
I bambini urlavano besttemmie.
Stavno bestemmiando.
Bestemmiavano dio ed erano felici.
Bestemmiavano tutti. Si rincorrevano, si toccavano, si tiravano le magliette, cercavano di far volare i palloncini degli altri. E bestemmiavano.
Quel ragazzino, semidistesa a fianco a me, si era addormentato su questa storia blasfema. Non saprà mai se glil'hanno raccontata davvero.
Non lo vuole nemmeno sapere.
I frammenti dell'aurora di questa storia, qualunque composizione chimica l'abbia composta, erano parte di quel disegno blu steso sul pavimento all'ingresso di un territorio nuovo.
Non avevo nemmeno disfatto le valige che stavo staccando arance dagli alberi, le sbucciavo e me ne addentavo gli spicchi.
Il succo fresco mi esplodeva in bocca e le minuscole gocce mi entravano nelle cavità orali. Ogni volta che mordevo uno spicchio i denti laceravano la pellicola sottile dello spicchio stesso e tutta la vita di un'arancia mi perccoreva la schiena.
Tutto il sole che l'aveva scaldata, tutta l'aria che l'aveva raffreddata, tutte le foglie che l'avevano accarezzata, tutta la pioggia che l'aveva bagnata. Tutto quello che era stata l'arancia prima di essere un frutto per me, mi esplodeva in bocca e mi scendeva lungo la schiena, costringendomi a muovere i piedi, prigionieri di radici che quell'albero non voleva tra sè.
Jeronimo e Anita mi prepararono un surrogato di colazione in una cucina che sembrava in disordine ma che imparai a vedere pulita e organizzata.
Poco dopo eravamo in un'altro giardino. Era la casa di Juani.
Suo figlio spingeva un tricilo di plastica cercando di posizionarlo sopra i grossi massi.
Ma perchè vuoi fare così tanta fatica?
Siediti, bambino.
Ascolta anche tu.
Ascolta la musica di tua madre.
Era una strega.
Una strega bellissima, è possibile?
Aveva i capelli arruffati. Quelli che avrebbero dovuto coprirle la fronte erano tenuti da fermacapelli d'argento. Fumava una sigaretta che non si consumava mai.
Poi prese il violino. Lo estrasse con cautela dalla custodia, lo inseri`tra il mento e la spalla e comincio' a suonare.
Stava suonando nella foresta, ai piedi di alte montagne, parzialmente nascosta da una ampolla di mate fumante, con una cannuccia di metallo conficcata nell'erba calda.
Juani non parlava. Ma nemmeno ascoltava.
Sgridava il bambino o forse lo stava soltanto consigliando.
"E' meglio che ci rinunci"
Qualche decina di minuti dopo io, Jeronimo e Anita eravamo in un'altra casa.
Era piccola anche questa. Fatta di pietre giganti e travi di legno.
Sembrano tutte case per gli elfi, qui. O li'.
Vetri colorati, grosse archi e altre curve di legno, pavimenti di argilla, balconi di sequoia.
Tutto molto materico. Come se le case fossero uscite dalla terra, spuntate come funghi con dentro chi le avrebbe abitate.
Ci sono anche case di un secolo. Decadenti e decrepite. Senza luce ne porte.
Polvere e oggetti. Scarpe sotto le sedie, barattoli di marlmellata vicino al letto, confezioni di biscotti aperte e fogli di carta graffiati dai bambini appesi alle pareti come opere d'arte di inestimabile valore.
Dicevo.
Ci spostammo in un'altra casa.
C'era anche la piscina. Qualche dito d'acqua verde ricopriva il fondo e nifee rubate ad uno stagno decoravano la superficie.
Una brutta bambina giocava attorno all'azzurro scrostato di un buco azzurro nella terra che forse d'estate si chiamava piscina.
Era davvero una brutta bambina. Aveva una maglia bianca e una gonna piu' rossa delle fragole finte sopra il tavolo della casa di mia zia.
Correva e calciava un pallone sgualcito che perdeva brandelli di imitazione di vacca.
Io comincia a spaccare noci, rapido per l'ingordigia, maledicendo i piccoli pezzi di guscio duro che mi facevano scricchiolare i denti. Smisi soltanto quando nel tentativo di spaccare una mandorla ruppi lo schiaccianoci di legno e lo riposi sul tavolo facendo finta di niente. Addebitati il forte dumore di legno lacerato alla mandorla, imitando chi ne conosce il gusto e ne elogia la bontà.
Consumammo un piatto di riso, fagioli bruciati e carote, poi tornammo a casa.
Quella che stava per diventare la mia casa.
Nino sarebbe arrivato la mattina dopo.
Mi aspettavo un uomo.
E al mattino, arrivo'.
Era una donna magrissima.Vestita di nero. I capelli neri.
La cosa che non poteva passare inossrvata erano le rughe profonde del viso.
Rughe da immortale appiccicate ad una faccia di 64 anni. Forse saranno le sigarette.
Ogni volta che aspirava una boccata di fumo risucchiava un po' di se' stessa. Come se lei fosse la brace di quelle sigarette maleodoranti che aveva sempre in mano o in bocca.
Nino e' simpaticissima. Super dinamica e attiva. E' gentile.
Per un paio di giorni siamo stati coinquilini. Abbiamo chiaccherato davanti al fuoco del camino, mi ha raccontato la sua vita da quelle parti e le sue scorribande piuttosto estreme.
Il mattino seguente mi sarei messo in cammino, per salire sulla montagna.
Mi svegliai presto, prima del giorno e mentre preparavo il caffe`notai che mancavano i biscotti. Me li aveva rubati Nino.
Nino era simpatica, ma mi aveva rubato i biscotti.
Mi misi in cammino. AL mattino. Con Juani.
Lui mi chiedeva dell'acqua.
Di quanta era, quanta ne avevo vista e quanta ne avevo bevuta.
Tutta quell'acqua e non poterla bere, se non dopo che e' passata dal cielo.
In due ore di cammino tra le rocce costeggiando un fiume, una malga o una mula, siamo arrivati in cima.
Juani batteva le mani, per annunciarsi.
Non rispose nessuno.
Juani spinse la porta e intavidi quello che l'oscurità voleva nascondere dentro quella casa, incastrata nella foresta.
Un rosone di bottiglie di birra trasudava la tenue ombra della montagna che si infrangeva nelle foglie.
Pannocchie appese alle travi, una scodella di metallo, bucce d'arancia, un paio di gusci di noci, un martello, un materasso.
Un mate e un thermos.
Non te l'ho detto? Ci sono mate e thermos ovunque.
Rolf non c'era.
Aveva lasciato ìl Rolf che era stato fino al giorno prima sottoforma di rimasugli a custodiure pezzi di tavolo, di pavimento, di aria.
C'era piu' di quanto potesse esserci davvero, materializzato nelle cose che aveva toccato e presente piu' della sua immagine che avrebbe nascosto tutto., distranedo i miei occhi dai dettagli della sua vita.
Andammo a vedere se c'era Jose`.
Se c'era la coppia.
Juani salí alcuni gradini di terra e si infiló tra le fronde che sovrstano le casette poco piu`su.
Non c'era nessuno.
Juani voleva andare.
Mi lasciò la farina per la coppia e se ne ando`, lasciandomi solo, come una lucertola su una pietra, a contare i cristalli dell'acqua che mi correva di fianco.
Aspettai.
Aspettai solo il tempo di sentirmi li'. In quale luogo e da nessun'altra parte.
Appena quel tempo passò sentii i passi pesanti si un uomo che si avvicinava.
Era Josè.
Vestito da uruguayano con una bambina in braccio.
Lo seguiva Semisha. La sua donna.
Erano una coppia di cuori.
Due cuori e una capanna.
Erano loro.
Quelli che vivono soli, tra la natura, raccogliendo legna tutti i gioreni, lavando i pannolini della bambina tutti i giorni, facendo il pane tutti i giorni, accendendo il fuoco tutti i giorni, curando le piante tutti i giorni.
Loro, una figlia di otto mesi, nata li', con loro e loro soltanto. E una capanna. Un laboratorio e nessun bagno.
Una cucina.
Semi, noci, zucche, farina.
Che farina.
Macinata sotto denti di mettallo ruggine, Grani spinti contro quel giallo da tritare. Cotto dal sole e tostato dal fuoco.
Pane di grano, zuppe di grano.
Arance e ogni cosa che la montagna mette sul tavolo. O per terra.
Ho passato il pomeirggio con loro,a farmi raccontare una vita di un secolo fa.
E poi la notte, steso nel silenzio, accanto al canto del fuoco, imprigionato in una stufa di metallo. Costretto a leggere mattoni, travi, sotto coperte di terra. Fuori pioveva notte e luna. Cadeva come acqua piena, senza bagnare.
Freddo senza vento. Nessun sogno.
Al mattina guardai rinascere il fuoco, aspettando il suo calore, piu`veloce delle ombre del mondo.
Mangiammo cialde di farina e acqua splamante di marlemllata di mirtilli, compartimmo un mate e poi me andai. Ancora spruzzato della luce del giorno, scivolata sopra un tetto di lamiera splendente, coperto da una scacchiera di grossi massi, immobili senza vincitori nè vinti.
E poi.
Poi.
Il mio compleanno, che e' anche quello di Juani.
Il mio nuovo uno.
Carne, vino, pane. E qyalche faccia nuova.
Ho brindato cosi', con amici di un giorno, di un pomeriggio, di un compleanno, Tra cani tranquilli, molti bambini e olive secche. E nere.
Anche qualche gatto.
Un compleanno allungato fino a domenica, forse fino a lunedi mattina.
Esteso nello spazio tempo di tutti i mondi a cui appartengo.
Quello dei tasti con cui scrivo questa storia, Cosi' duri da premere. La devo sbattere sul tavolo questa storia, Prima che entri dentro questo mondo.
E poi la leggo. E la rileggo.
E poi qualcuno l ascolta.

SI.
Ti sto ascoltando, continua. Quali altri mondi?

Quello che ogni giorno si crea davantia te.
Sotto i tuoi piedi e nella tua mente.
E le persone che incontro.
E le strade di Cordoba. Deserte al mio arrivo.
Non c'era nessuno. Nemmeno le case sembravano esserci. Solo i loro muri e qualche ricciolo di vento. Auto ferme Saracinesche chiuse.
Su questo tetto, c'era una chiesa, rimbalzata tra i palazzi e spiaccicata contro i vetri di un cubo nel cielo.
Odore solforico leggermente sospeso dal pavimento del corriodoi dovanti alla porta della mia stanza.
E notte. Deserta.
I fari incassati dentro la strada si spingevano fino alle curve di marmo o di stucco.
I miei piedi inzuppati di millimetri d'acqua che ripassavano i contorni dei marciapiedi.
Invisibili ai cittadini di questa città,
Queli città?
Cordoba o Posadas.
Fuse nelle venti ore che le separano, uguali alla mia altezza, mentre, disteso, mi lasciavo rotolare come uno spiedino imperniato tra loro, Una alla testa, l'altra davanti ai piedi.
Storie infilate tra pietre rosse di quatrocento anni e blocchi di lava e argilla
Sorte sulle le fondamenta di altre ancora. come alberi o fiori
Le rubai a quel deserto centenario per poi, un giorno, consegnarle.
Sputarle per terra, perché qualcuno le possa calpestare.
Alcune le custodisco. Le trasporto in gola come pezzi di foglia sulla schiena di formiche che preparano la lro dimora prima di un giorno di pioggia.

Champaqui.

In champaqui.
Dove?
Qui.
E perchè dovrei inciampare lì?
Ma non lì, qui. In Champa qui.
Proprio qui?
Si qui.
(un uomo cade)
Ehi, ti sei fatto male?
Un po', qui, al ginocchio destro
Ma non l'avevi visto?
Si.
E allora perchè gli sei andato addosso?
Mi prendi in giro?
Me l'hai detto tu. "Inciampa qui" mi hai detto.
Ma no! Ho detto In Champaqui.
Appunto.
Ma tu non mi hai lasciato finire.
Stavo dicendo In Chamapqui ho trascorso una settimana piacevole.
Ma e' come se io dicessi "Rovesciati addosso il vino ho prenotato un volo per Roma".
Sei scemo?
Ah, io sarei lo scemo...
Ma io sto solo provando a raccontarti la mia settimana trascorsa sul Cerro Champaqui, che e' la montagna piu' elevata Sierra Argentina nella provincia di Cordoba.
oh oh, mi sa che ho fatto un po' di confusione...
Non solo, ti sei anche rotto un ginocchio. Per fortuna non sono stato a spaccatilcranio.
Vabbè. questa te la potevi risparmiare... dicevi...
Dicevo che stanno epr chiudere e dobbiamo andare... un'altra volta.
Come vuoi.
Quant'è?
5 e 50.
Cosa?
Il conto. 5 e 50
Ma cosa, minuti, pesos, euro, dollari. Cosa?
Mi prende in giro, signore?
Io? No. Le sto solo chiedendo come vuole che la paghi?
In litri di sangue.
Ah si?
Bene.
Pablo.... inciampa qui.

Friday, June 12, 2009

+1. Un anno in 23 minuti e rotti

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Mancano poche ore.
Se un giorno è poche ore.
Se mi metto a contare tutte quelle che ci sono in un anno.
16 Giugno 2008
16 Giugno 2008+1
Un anno.
Tolto quell’uno….
Un giorno, lo stesso.
O soltanto una notte?
Luogo diverso. Continente diverso. Mondo diverso.
Diverso da quella lontana Australia di 4 anni fa, quando mi preparavo per tornare a casa.
Dopo un tempo che non sapevo descrivere se non dilatandolo e costringendolo dentro un breve sogno.
E cominciai ad aspettare il risveglio.
Puntuale, mi sono svegliato.
In Africa, a Città del Capo. A vivere a stretto contatto con un gruppo di persone di tutto il mondo. Dormivo, mangiavo, parlavo, ridevo e piangevo sempre con loro. Lavoravo con loro.
Per 5 mesi su e giù per i ponteggi a smartellare, scalpellare, tagliare, spostare, caricare, pulire, svuotare, e galleggiare su una barca di cemento.
Heraclitus.
L’unica costante e’ il cambiamento.
Mentre ero in Africa sono riuscito a ritagliarmi una pausa per viaggiare dentro il suo cuore caldo. Il Malawi. E scendere giù, lungo la costa del Mozambico, fermandomi per qualche giorno a vivere con un centinaio di bambini.
E poi di nuovo Sud Africa.
Per partire.
Avevo deciso. Mi sarei imbarcato su quella barca che da relitto com’era abbiamo rimesso in acqua.
E siamo partiti.
L’ultimo giorno di primavera. Il mare era calmo,
E il vento ci aspettava più a nord.
E poi....
Poi.
Poi il mare. L’Oceano.
60 giorni di oceano e vento.
Sole, luna, stelle e pianeti.
E io.
Sovrastato da tutto quell’universo, affidato alle onde e alla direzione del vento.
Sopra chilometri d’acqua, abissi e infinito.
Piccolo al punto da dimenticarmi di avere una dimensione, per espandere ogni sensazione oltre quello che potevo vedere.
Non erano nuvole di pioggia i miei pensieri. Solo cumuli bianchi di oceano e cielo, che osservavo. E osservavo. Erano gli unici attori delle mie canzoni. Ascoltate sottovoce.
In una notte di luna piena, o sotto un cielo senza stelle, all’alba, al tramonto, nella accecante luce di un mezzogiorno d’acqua, ho scritto lettere consegnate alle onde. E ho scritto parole per te.
Ho avuto la possibilità di dedicare ad ogni nome che sia o sia stato parte della mia vita, un movimento, un pesce, un disegno, un gioco di mulinelli.
Fino al giorno che fu di nuovo ........
Teeeeeeeeerrrrrrrrrraaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Era il Brasile, L’America.
Il carnevale, la gente, le spiagge, la giungla.
Gli amici.
E i saluti.
Per molti dei 14 del Sud Atlantico il Brasile e’ stata la meta.
E anch’io, forse ancora un po’ sconcertato ho deciso di venire qui.
In Argentina. A Buenos Aires. Tra gente che ha le mie stesse radici.
Italiane.
Ad ascoltare un po’ di quel sentimento triste che si balla. Il Tango.
E ballare.
E preparmi, ancora, a partire.
Questa volta cari amici, il mio viaggio non si ferma qui.
Continua.
Non sono ancora stanco.
Ho un’immensa voglia di riabbracciarvi, di stare con voi.
Ma ho ancora un po’ di energia per andare a scoprire qualche altro angolo di mondo e qualche altra piega dell’acqua.,
E’ stato un anno intenso.
Non sempre sul filo della felicità. Ho avuto un inizio molto forte, al punto da pensare di aver sbagliato posto, di essermi risvegliato dove non sapevo nemmeno se dovevo girarmi quando qualcuno pronunciava il mio nome.
Quale?
Quello da marinaio, da muratore, da falegname, da designer, da scrittore, da bietolaro, da scolaro, ....
O il mio nome su facebook, su hotmail, libero, tiscali, spacelive, myspace, linkedin, vodafone, banca, posta, skype, messanger, wikipedia, youtube, google, twitter, torrent, un sito web, un blog, otto mail, 5 numeri di telefono, 3 indirizzi.
20 nickname
Ma chi cazzo sono? Sono una collezione di chiocciole e password, una faccina e una fotina. Clikkami, mi puoi ingrandire..
Se vuoi mi puoi cancellare. Non sono più tuo amico.
Eppure io ho soltanto un nome
Il mio.
Quello da niente, soltanto da uomo.
E da qui, racconto la storia di come vivo. Qualche volta sono.
Tra qualche giorno e’ il mio compleanno e un anno di piu`e’ anche sul mio tempo.
Crisi dei trentanni appena iniziata, figli? Non che io sappia. Moglie? Non mi pare. Soldi? Mmmmmm- Soldi? Cosa sono? Roba da mangiare??
E’ tutto possibile.
A volte grande al punto da fare paura.
Hai mai avuto paura della libertà?
Io si.
L’ho vista.
E’ immensa.
E sapere di esservi dentro e’ più disorientante di un viaggio sull’oceano.
In barca c’è la bussola, il sole, le stelle.
Nella libertà non c’e`niente.
E’ tutta da riempire.
E’ come un paesaggio nuovo che costruisci tu.
Ci puoi mettere città, montagne, oceani.
Oppure le tue scelte.
E godere nel contemplarle.
Ho scelto di arrivare fin qui, e di continuare. Felice di questo anno.
Quell’uno non mi pesa perchè non e`uno in meno da vivere, ma uno in più che ho vissuto.
Incontrando nuovi amici, senza dimenticarmi mai ....di te.
Ciao

Saturday, June 6, 2009

Hasta luego Buenos Aires



Buenos Aires.
Ora questo nome così potente ha un significato diverso.
Non sai a cosa pensare fino a quando non vivi a Buenos Aires.
Tutto si carica dello sconosciuto e del conosciuto attraverso altri e altro.
POesie, musica, balli, canzoni e gente.
Ora so.
Sono anche Buenos Aires.
Sono le sue strade, il suo freddo repentino di un autunno australe.
Sono molto di quello due mesi in una città danno l'opportunità di vivere.
Sono anche la sua gente.
Italo-spagnola e di chissà quale miscela.
Sono soprattutto questo luogo, l'Academia Biosferica, dove sono stato accolto come un figlio, un fratello, un amico.
Me ne vado portando nel cuore i nomi di
Diana Braceras, madre di Pablo, Candelaria, Anita, Lucia, Guillermo.
Maria Canevari. Eduardo Bertoglio, detto Poca, Miguel, Mattia, Gabriel,
Grazie
Grazie di cuore.
Per quello che ho condiviso nella quotidianità di un centro culturale che forse, in qualche modo, ho contribuito a far vivere.

Friday, June 5, 2009

Tempo rallentato

A un anno dalla pubblicazione di Tempo Lento ringrazio tutti coloro che continuano a leggermi.
Nonostante non abbia potuto promuoverlo in Italia, il libro ha riscosso un discreto successo.
Titolo e tematiche trattate non possono che invitare alla pazienza.
Dal giorno della presentazione ho decisamente messo in pratica le speranze.
Rallentare la vita per viverne a fondo ogni momento.
E tu? Hai provato a frenare?

Thursday, June 4, 2009

Uruguay: Paese che vai...Alvaro che trovi



Fino a poche qualche giorno fa l'Uruguay per me era
- un nome che compare due volte nella lista dei vincitori della Coppa del Mondo (curiosa la vittoria del 1950, inaspettata per i confinanti Brasiliani alcuni dei quali si suicidarono per il dolore)
- l'altra sponda del Rio de la Plata
- un Paese del Sud America, da dove provengono un gruppo di marinai che hanno dato una mano nei lavori al Dry Dock di SimonsTown, in Sud Africa
Da oggi è molto, ma molto di più, anche se non posso dire di conoscere una Nazione per averne visitate due città e incontrato qualche altro cittadino.
L'Uruguay è la patria di José Gervasio Artigas, è un paese segnato da conflitti per l'indipendenza e da una sucessione di periodi coloniali che hanno visto protagonisti Inglesi, Portoghesi e Spagnoli. Se ora so qualcosa della storia è grazie al mio amico Alvaro Aldecosea D'Agostino, capitano della marina militare uruguaiana, che lo scorso giugno aveva stimolato i suoi marinai a rendersi disponibili per qualche ora di lavoro volontario alla barca di cemento, presentandosi in prima linea.
Già allora si era dimostrato particolarmente generoso, sensibile e umano, ma in questi giorni ho avuto la possibilità di conoscerlo un po' meglio e confermare la prima impressione.
E' venuto a prendermi alla stazione dei bus di Montevideo, dove sono arrivato alle 21 di sera dopo aver attraversato il Rio de la Plata in ferry e dopo aver percorso la strada tra Colonia e la capitale.
Mi ha fatto accomodare in casa sua, mi ha portato a cena e sistemato in una stanza della sua confortevole abitazione.
Il giorno dopo si è offerto di accompagnarmi per la città.
La prima tappa prevedeva una vista dal monte Cerro, sul litorale e la grande pianura che si estende per tutto il Paese. L'avvistamento di questo unico rilievo diede il nome alla città (Monte vide Eu) La fortezza che lo sovrasta ospita un interessante museo storico. Interessante soprattutto per come Alvaro mi ha spiegato nomi, date, luoghi, popoli, bandiere... non si è lasciato sfuggire nulla riuscendo a coinvolgermi in un appassionato racconto delle vicissitudini di un piccolo territorio conteso e compresso tra due grandi imperi.
Lungo la strada per la città vecchia si erge un monumento alla unica visita papale della storia del Paese (1987)
In una sala al primo piano del palazzo del Cabildo si trovano i cimeli della Generazione 900 e mentre Alvaro mi raccontava qualche curiosità il guardiano Peppe improvvisava una tarantella al pianoforte.
Durante il percorso tra i coloratissimi orsi disposti a cerchio nella piazza Indipendenza mi sono divertito ad indovinare le diverse rappresentazioni, un po' perplesso di fronte a quella dell'Italia.
Il cerchio di pace e tolleranza trovava il suo centro nel monumento alle ceneri di Artigas, un sobrio ma imponente mausoleo soterraneo che ne esalta il valore e le tappe salienti della vita, scolpite nella pietra a caratteri cubitali.
Un ulteriore momento culturale, al museo di Torres Garcia, prima di sorseggiare un medio e medio (mezzo vino mezzo champagne) al mercado de puerto per poi affondare i denti nella tenera carne di pezzo di vacca.
Latte, carne e cuio sono parte dell'orgoglio nazionale. Tutto sano, naturale e ben lavorato per il consumo interno della scarsa popolazione ( meno di 3,5 milioni in tutto il paese) e per l'esportazione in tutto il mondo.
Non sono rari carri trainati da cavallo, carichi di rifioti differenziati raccolti per la strada da portare al deposito per racimolare qualche pesos. Numerossissi FIAT 600 e meravigliose auto degli anni 60 popolano le strade.
La visita prosegue per qualche manifattura di pelle, per terminare a sera inoltrata nella casa del capitano, dove l'intera famiglia si è prodigata nel preparare empandas caserecce allietata da canzoni cantate a squarciagola da un Pavarotti reincarnato in un italiano a Montevideo.
Credo che l'ottima impressione della città, della cultura uruguaiana e la bellezza semplice di Colonia siano state favorite dalla splendida accoglienza di un amico conosciuto meno di un anno fa, che si è prodigato per rendermi paicevole il soggiorno, con risate, compagnia, storie e una profonda infusione di semplice umanità.
Tutto estratto dal cuore.
Si sente.