VIAGGI, PENSIERI, EMOZIONI
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Thursday, May 27, 2010

I love radio rock.




E' il titolo di un film, non un sentimento.
Non mio perlomeno.
Io ai tempi di Radio Rock non ero nato.
Tuttavia non sono riuscito a trovare fonti che confermino che sia mai esistita una radio pirata proprio con questo nome.
La nave del film è un simbolo di tutte le radio pirata degli anni '60 e la storia un modo per raccontare la musica di quei tempi e la rigida ostilità del governo inglese nei confronti di questo genere di emittenti.
Ora se io dovessi esprimere il mio sentimento direi
I love I love Radio Rock, perchè mi è piaciuto molto il film.
Che poi si possa 'sentire' anche per qualcosa che non si conosce direttamente, è indubbio.
In questo senso ...
I love Radio Rock.
Amo il desiderio di espressione, forte al punto da diventare illegale.
Amo la passione per la musica, forte da sfidare la morte.
Amo il senso del gruppo, dell'amicizia.
Sesso, droga e rock'n'roll. Tutto dentro pochi metri cubi di metallo che galleggiano sull'Oceano.
E io amo anche questo.
Forse a me risulta particolarmente facile immedesimarmi con qualcuno che vive e lavora a bordo di un vascello, con altri amici, che dondola dalla mattina alla sera, che fa i turni, qualche festa sul ponte.
Mi viene altrettanto facile trasformare una ripresa cinematografica di sole all'orizzonte di un mare calmo. Quell'immagine diventa il richiamo di un ricordo, vero e mio.
Un momento esatto, o solo uno dei tanti.
Mare, sole e passione.
L'ingrediente che manca è forse quello che trasforma Radio Rock in leggenda: la musica.
Io non sono un dj e non lo ho era nessuno dei marinai con cui ho navigato.
Anzi, la musica ad alto volume ad uso personale era vietata.
Le feste erano l'occasione per portare gli altoparlanti sul ponte e ascoltare qualche pezzo rock o elettronico, la luna piena l'occasione per ascoltare Shine on you crazy diamond in mezzo all'Atlantico. In tutti gli altri casi solo canzoni formato auricolare da ascoltare nella notte o dopo colazione, al termine del proprio turno, quando il sole non è ancora troppo alto e caldo.
Canzoni che nessuno saprebbe cantare.


Monday, May 24, 2010

.... o non ..?

Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla di più, e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie naturale retaggio della carne, è soluzione da accogliere a mani giunte.
Morire, dormire, sognare forse: ma qui é l'ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: é la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti.
Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell'uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto con due dita di pugnale? Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d'altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l'incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso:
e dell'azione perdono anche il nome..
Amleto, W. Shakespeare

Riporto un passo dell'Amleto per la sua bellezza poetica più che di significato.
Visto che il motivo per cui non mi pianto in pancia due dita di pugnale non è certo perché non so cosa mi aspetta nell'altra vita, ma in questa.
Non sono trattenuto dal timore dell'aldilà ma dalla curiosità per l'aldiqua.
Tuttavia quel che mi interessa ora è l'incipit della riflessione. L'eterno dubbio che qui voglio cambiare in:
Utile o non utile (inutile)?
Se essere fosse esteso ad essere utile il dilemma di Amleto avrebbe una qualsiasi differenza? Oppure per essere non è necessario essere utile?
A chi? a che cosa?
Ma colui che si interroga sulla necessità dell'esistenza e dei suoi tomenti si interroga anche e necessariamente sulla necessità di sè stesso?
Perché essere abbia un senso è necessario essere utili?
A chi? a che cosa?
A noi stessi forse.
Ma se una qualsiasi utilità dovesse soddisfare soltanto noi stessi sarebbe sufficiente essere.
Perché dovrei dannarmi ad essere utile a me, se sono l'unico a trarne giovamento? In tal senso potrei auto soddisfarmi con il minimo sforzo. Oppure confondiamo l'utile con il necessario e quindi tendiamo a soddisfare bisogni che coinvolgono anche altri? (vedi bisogno di appartenenza, ad esempio, che in alcune situazioni o individui è necessario e quindi il loro essere utile non è destinato a soddisfare sensazioni ristrette al sè stesso).
In che modo ci si sente utili?
Sentirsi utili ...
Per sentirsi utili bisogna fare qualcosa che cambi una situazione, uno stato d'animo, una condizione che non ha influenza o ripercussioni solo su di noi.
Oppure qualsiasi cosa si faccia è in qualche modo utile?
Faccio qualcosa di utile anche se quello che faccio mi viene pagato o contraccambiato in qualche modo? Oppure in quel caso è soltanto il mio lavoro?
Faccio qualcosa di utile solo se faccio il volontario? Solo se faccio star bene qualcuno fisicamente o emotivamente?
Oppure sono utile in qualsiasi caso, perché la mia azione potrebbe avere un effetto positivo non diretto e immediato?
Ad esempio se riciclo la plastica faccio qualcosa di utile per il pianeta e quindi per una vita migliore per chi lo abita.
E' troppo difficile o insufficiente sentirsi utili anche per piccoli gesti simili?
Bisogna per forza cambiare qualcosa in modo tangibile? Oppure, alla fine, essere equivale ad essere utili?
Se davvero ci concentriamo su tutto quello che facciamo e abbiamo fatto, forse ci accorgiamo che anche solo essere è utile, perché in ogni caso siamo figli, madri, padri, fratelli, amici, uomini.
Se questo sia un motivo sufficiente per l'auto soddisfazione non lo so con certezza, forse una motivazione per non sentirsi inutili.

Sunday, May 23, 2010

Matrix

Non ho fatto niente.
Non ho visto niente.
Non ho sentito niente.
Non ho conosciuto nessuno.
E' successo tutto nella mia testa.

Thursday, May 13, 2010

There was me

I received an email from a crew member, Ali.

He wrote the story of how things are going, of what is happening and where they are going to sail next.

The ship is the same. HERACLITUS.

I was on board for some months

There was me on those images, just some weeks ago.

There was me cooking in the galley, there was me sitting on deck. There was me feeling and living.

Now I sit in a rainy country which I wonder if I still belong.

and everything I see through the eyes of Ali is what I used to see.

Water, sun, people and world.

I miss that. I miss it a lot.

People here ask me questions.

I try to answer and I realize I can just talk about actions, things that somehow I can visualize.

All what is beyond, how I am going to explain?

People ask me how we did, what I did.

And answers are not easy. How did we repair a ship? Did you ever feel scared?

How do you decide a route? How do you do these researches? How do you support yourself?

How, what how...

But somebody waits.

Somebody knows that beyond all the images I show there is something real.

All what I say and write is a very little part.

Do you understand?

A very little part of the giant spectrum of all the feelings is the one I can talk about.

The rest, is mine, is yours, is of who ever live and feel alive.

Imagine yourself sailing in the middle of the ocean or sitting on deck in a warm night.

You, just you.

Who can really know what is there, in your deep spirit and who can see how huge is that thought crossing your mind?

No one.

Really, no one.

So there are the struggle, the sorrow, the happiness, the sadness, the uncertainties, the dreams.

Now I can live with this. i am comfortable with everything I can be.

I learnt that.

I learnt things can be so different from the way i used to think of them and sometimes I don't even expect to understand. I take them as they are. Good or bad, it doesn't matter.

I miss the friends, I miss the parties, I miss the work, i miss the loneliness. Mostly i miss the empty space of my real self. I miss to feel really me.

i miss traveling and floating and feeling nowhere. Just going, going, going. and never gone.

I wish to the current crew all the best for their time and wherever else they are going and anchoring. All the best? Yes, it means that I hope they will feel the vibe of the place but mostly of the group. I wish that every one feels there. Just there for the time he wants to be there.

And I wish that the slow time of the ocean crossing can be a little bit mine too.

I am not on board, I know, but nothing and no one can avoid me to feel that me, the part of myself that I cannot see, is sailing back to this world. I will count every meridian and every mile the ship will cross, trying to forget the speed that took me back.

I will be over the waves of the Ocean I met some thousands of miles more south.

I will watch one. I will follow it till the shore where it wants to die.

I want to be wherever it's free.

Now i am somehow tight in a shape i didn't choose, but Heraclitus and all the world i saw made me feel that I always can.

Thank you.

thank you to every one that believes that it is always possible.

Enjoy the Ocean and happy wind.

Cheers, to our friends around the planet.

Monday, May 10, 2010

Largo alle domande

Come ti mantenevi? Chi decideva la rotta? Quanti eravate in barca? Hai mai avuto paura? Hai imparato nuove lingue? ...
Non negherò il piacere di rispondere a voce ad alcune domande ma ho constatato che le curiosità sono abbastanza comuni e quindi vorrei condividere le risposte anche con chi non mi ha ancora incontrato personalmente e che per vari motivi non riuscirà a farlo a breve.
Apro questo post per permettere di inserire domande nello spazio dedicato ai commenti, alle quali cerchero' di rispondere.

Comincio rispondendo a queste domande, meno pratiche, che mi sono pervenute via mail.

Mi è rimasto impressa una tua riflessione di parecchio tempo fa (+1. Un anno in 23 minuti e rotti. +1. ) in cui dicevi che tutti abbiamo un'idea di che cosa sia la libertà ma quella totale, completa che tu stavi vivendo poteva fare paura; paura della libertà. Che intendeviì dire precisamente? Sei ancora di quell'idea o te la vorresti riprendere tutta compresa l'ansia della sua paura?

Questa domanda mi costringe a spiegare una visione.
Mi chiede di decifrare un'immagine e trasformarla in parole.
Non ho avuto paura della definizione di libertà totale, ma di come l'ho visualizzata.
Non sarei in grado di spiegarla nemmeno se la dipingessi.
Forse, pero'...
Avevo visto la mia incondizionata capacità di scegliere.
Avevo visto che ero riuscito ad arrivare ovunque volevo.
Mi ero sentito libero da tutti i compromessi, da tutti condizionamenti.
Ero soddisfatto di quello che stavo facendo e mi sentivo completo.
Avevo la sensazione di trovarmi equidistante da tutto e da tutti.
Se la libertà è solitamente intesa come la possibilità di scegliere secondo la propria volontà, ci si riferisce ad una scelta per volta. In quel momento mi sembrava di aver scelto tutto quello che potevo. E come volevo. Di quanto si possa essere liberi, avevo avuto paura.
In questo senso quella paura la vorrei ancora.

Thursday, May 6, 2010

Impatto duro

Sono passati otto giorni.
Solo otto giorni, lo so.
Ma sono anche gia' otto giorni.
Dipende, come sempre.
Ma se dicono che sia importante ogni secondo della nostra vita, otto giorni sono un'eternita'.
Sono sconcertato, sono disorientato.
Sorpreso, esterefatto, disilluso.
Ma andiamo per gradi.
Nel corso della mia lunga permanenza lontano da casa e dall'Italia ho avuto spesso modo di raccontare alle persone che incntravo delle mie origini e dei miei valori.
Alcuni di questi ho già avuto modo di apprezzarli di nuovo, di viverli, vederli o assaporarli.
Ci sono una serie di cose che non facevo o vedevo da quando sono partito.
Guardare un film seduto in divano, entrare in un cinema con poltrone comodissime (purtroppo mi sono dovuto subire un film orribile), dormire nel letto su cui sono cresciuto, parlare in dialetto, sedermi a tavola con la mia famiglia, bere un bicchiere di vino ad ogni pasto, spargere formaggio Grana sulle tegliatelle paglia e fieno al ragu' (tutto fatto in casa), strappare pezzi di pane con le mani e mangiarli mentre aspetto il pranzo, asciugarmi con l'accappatoio dopo aver fatto una doccia, bere un caffe' seduto alle 5 del pomeriggio, vedere un tavoliere di legno cosparso di polenta bianca al centro del tavolo, vedere tagliatelle alla chitarra appese. sfilarne una e sentire la farina sui polpastrelli mwntre me la infilo in bocca, ascoltare una tortora tubare tutti i giorni alle 2 del pomeriggio, bere una birra al pub, chiaccherare con un vecchio amico.
Se da un lato c'e' tutto questo non riesco a non farmi coinvolgere dall'umore generale che mi sembra di respirare.
Per rendere l'idea mi sembra di essere in una stanza dove c'e' una perdita di gas ma nessuno se ne accorge. Io entro, sento una puzza soffocante ma al momento non trovo le finestre e non posso uscire da dove sono entrato.
Devo respirare il gas. Qualcun altro sa che c'e' del gas nocivo in questa stanza, ma ci ha fatto l'abitudine e visto che non ammazza da un giorno all'altro ha deciso di vivere nella stanza, respirando aria malsana.
Non so se questo gas sia talmente subdolo che dopo un po' diventa quasi indispensabile, come una sigaretta, nociva ma inevitabile per chi ha il vzio di fumare, oppure se la stanza davvero non abbia vie d'uscita.
Io sono pronto a sfondare la porta.
Non ora.
Ma nemmeno mi faro' avvelenare. Per come ho scelto la mia vita fino ad ora, credo che prima o poi riusciro' a ricavare uno spazio di aria non inquinata o usciro'.
Metafore a parte in questi pochi giorni non ho visto altro che facce contrite, tese. Gente preoccupata, che parla di soldi e di lavoro.
Solo di lavoro o al massimo del dopolavoro, che nella maggior parte dei casi si chiama lavoro.
Ho visto pagine dei giornali con titoli raccappriccianti.
Ho paura di accendere la televisione perchè quando per caso ho intravisto qualche immagine mi e' salito un brivido alla schiena. Totti e' ancora il testimmonial Vodafone. Ma se sono stanco io che non l'ho visto per due anni, cosa puo' essere accduto a voi, a te che te lo sei dovuto subire pr 4 anni ininterrotti?
Carlo Conti, la Clerici, ... ma il modello e' Mike Bongiorno per tutti?
Il TG5, sembra un videogioco.
Il TG4, non l'ho visto, giuro, ma ho visto Fede. Ho messo un pezzo di nastro adesivo sopra il pulsante 4 del telecomando. Mai piu'.
Questo e' gas.
E' gas nocivo anche lavorare senza guadagnare ne' soldi ne' gloria.
Sono due anni che non guadagno, ma ho lavorato per qualcos'altro. Per vivere.
Anche a Cuba lavorano per amore, ovvero non sono pagati. Ma lo sanno e sono in uno stato di regime. Qui siamo in Italia, dovremmo essere liberi.
Non ho visto spazio per i sogni, per le idee.
Ho visto terrore post atomico.
O pre atomico.
No, davvero, non mi ci voglio abituare.

Wednesday, May 5, 2010

Si nada existe

"Si nada existe, no deberia importarme si me importa. Si lo que hay es lo que veo, no veo nada que valga la pena ver. La realidad que mi mente crea no pasa de la percepcion que te creen estas palabras. Vivo lo que tengo que vivir y si las cosas pasan por una razon, vivire por eso; pues es la unica forma en que valdria la pena despertarme, prueba suficiente de que estos segundos, no han muerto en vano..."
(Antonio Mayo)

Se non esiste niente, non dovrebbe importarmi se mi importa. Se quello che e', e' quello che vedo, non vedo niente che valga la pena vedere. La realta' che la mia mente crea non va oltre la percezione di queste parole. Vivo quello che devo vivere e se le cose accadono per una ragione, vivrò per questo; è l'unico modo in cui valga la pena esistere, prova sufficiente che questi secondi non sono morti invano...

FORSE, aggiungo.
Forse.
Dalla riflessione di un amico portoricano, rifletto sul valore di ogni secondo.
Balle!
Non li voglio tutti,i secondi che mi tocca vivere.
Per fortuna non ho ancora disimparato a dormire

Saturday, May 1, 2010

...e adesso?

Ho tempo.
Ho tutto il tempo che voglio.
Non sono di guardia, ne' stasera ne' mai.
C'è molto silenzio.
Ho addosso dei vestiti nuovi. Dei vestiti diversi,O piu' che muovi.
Questi pantaloni erano miei. Anche questa maglietta, queste scarpe.
Ma non li indossavo da molto tempo.
Gli abiti che indosso sono anche i movimenti che faccio, la posizione delle cose, la temperatura, i suoni, le dimensioni delle stanze, il cibo che mangio, gli orari.
Ogni cosa al suo posto. Com'era.
Anch'io che ritorno ad occupare uno spazio che ho occupato per molto tempo, mi ritrovo un po' come ero, e se mi guardo, dentro e fuori, non mi vedo nemmeno troppo cambiato.
Non sono sconvolto.
Ho milioni di domande da porre a me stesso, ma le ho posticipate tutte.
Non credo nemmeno di potermi definire incredulo. Non ho mai pensato che tutto potessere essere un sogno e che ora mi sono semplicemente risvegliato dove mi ero addormentato.
No. Niente di tutto questo.
Tutto reale, vero.
Quantomeno tanto reale quanto gli oggetti che ho di fronte.
Avevo scritto una lettera.
Era per me, per quello che di me era a Cuba.
Me la scrivevo come se potessi smettere di essere e scrivermi lucidamente quello che avrei dovuto sentirmi dire.
Invece sarebbe stato meglio che mi fossi scritto una lettera per il futuro.
Un lettera perchè ora potessi convicermi che non c'è niente di strano.
Ho qualche migliaio di fogli di carta.
Potrei riaprire una pagina a caso.
Ma ho paura.
Lo faro', ma non ora.
E non domani.
e quando apriro' un pagina comincero' ad essere quello che ho deciso per me.
Ora sono in pausa.
Eppure le parole ancora camminano.
Io non so esattamente chi sia venuto con me.
Io non so chi mi abbia seguito, non so tutti i nomi,
Ma so che anche tu in questo tempo, hai viaggiato.
Io voglio provare a continuare a farlo.
Queste PAROLE IN CAMMINO non finiscono con il viaggio in se'. Con l'interruzione dei miei spostamenti fisici nel mondo non termineranno queste pagine.
Non so cosa scrivero'. Non l'ho mai saputo.
Scrivero' quello che le parole vogliono diventare.
Lo scrivero' per me, con il desiderio di condividire.
Ho trovato un'Italia strana.
Ho trovato un mondo che devo, forse, in qualche modo, riprendere a conoscere.
Ho galleggiato altrove. Sul mare ma anche sulla vita.
E forse non ci sto a ritornare qui e farmi tirare piano piano di nuovo verso il fondo.
Forse posso continuare a galleggiare.
Questo vorrei scrivere. Ecco.
Se posso farmi un augurio e di riuscire a scrivere ancora storie da un posto diverso. Scriverle per dimostrarmi che anche nelle pause posso continuare a dar voce all'onda d'urto che mi ha spinto cosi' lontano ma che era partita da qui, da un posto piccolo e vicino, che non ho mai visto eppure ci sono sempre dentro.

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Sono tornato a casa.