VIAGGI, PENSIERI, EMOZIONI
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Monday, May 10, 2010

Largo alle domande

Come ti mantenevi? Chi decideva la rotta? Quanti eravate in barca? Hai mai avuto paura? Hai imparato nuove lingue? ...
Non negherò il piacere di rispondere a voce ad alcune domande ma ho constatato che le curiosità sono abbastanza comuni e quindi vorrei condividere le risposte anche con chi non mi ha ancora incontrato personalmente e che per vari motivi non riuscirà a farlo a breve.
Apro questo post per permettere di inserire domande nello spazio dedicato ai commenti, alle quali cerchero' di rispondere.

Comincio rispondendo a queste domande, meno pratiche, che mi sono pervenute via mail.

Mi è rimasto impressa una tua riflessione di parecchio tempo fa (+1. Un anno in 23 minuti e rotti. +1. ) in cui dicevi che tutti abbiamo un'idea di che cosa sia la libertà ma quella totale, completa che tu stavi vivendo poteva fare paura; paura della libertà. Che intendeviì dire precisamente? Sei ancora di quell'idea o te la vorresti riprendere tutta compresa l'ansia della sua paura?

Questa domanda mi costringe a spiegare una visione.
Mi chiede di decifrare un'immagine e trasformarla in parole.
Non ho avuto paura della definizione di libertà totale, ma di come l'ho visualizzata.
Non sarei in grado di spiegarla nemmeno se la dipingessi.
Forse, pero'...
Avevo visto la mia incondizionata capacità di scegliere.
Avevo visto che ero riuscito ad arrivare ovunque volevo.
Mi ero sentito libero da tutti i compromessi, da tutti condizionamenti.
Ero soddisfatto di quello che stavo facendo e mi sentivo completo.
Avevo la sensazione di trovarmi equidistante da tutto e da tutti.
Se la libertà è solitamente intesa come la possibilità di scegliere secondo la propria volontà, ci si riferisce ad una scelta per volta. In quel momento mi sembrava di aver scelto tutto quello che potevo. E come volevo. Di quanto si possa essere liberi, avevo avuto paura.
In questo senso quella paura la vorrei ancora.

7 comments:

dar said...

o,non spingete

Pol said...

comincio io: dopo molto tempo rientro per caso (o per merito di FB) in contatto con il tuo blog. Ero fermo ai preparativi per il viaggio...felice di vedere/sentire/leggere che stai bene!
la mia domanda: durante l'attraversata come hai vissuto la possibilità di non arrivare?
un abbraccio stimoso!
Paolo L.

dar said...

:)
Bentornato anche a te quindi.
La possibilità di non arrivare.... Ci ho pensato fino al momento prima di partire, fino a quando la barca si è staccata dal molo del drydock di Simonstown, in SudAfrica.
Pensavo a quell'Oceano che non conoscevo per niente e me lo immaginavo dai racconti dei compagni con cui avrei condiviso il viaggio. Se avessi avuto paura non sarei partito, è chiaro. Non avrei potuto imbarcarmi sapendo che per due mesi avrei dovuto convivere con qualsiasi sentimento e condizione. Quello che accettavo era l'ignoto. Ovvero tutte le domande senza risposta. Si o no? Mi piaceranno le onde, il movimento, la lentezza, il nulla? Avrò paura? Arriverò dall'altra parte? Se avessi avuto una risposta certa ad una di queste domande probabilmente non sarei partito. Ma quando si va incontro a qualcosa che non si conosce si accetta il rischio, perchè la spinta alla scoperta, il desiderio della sfida è maggiore e contrario al prezzo da pagare.
Tuttavia ho anche cominciato a capire che il rischio di affondare in mare aperto non è molto alto, quindi allo stesso modo si potrebbe rivolgere la domanda a tutti coloro che prendono l'aereo.
Inoltre esistono alcune misure di sicurezza e alcuni dispositivi che facilitano eventuali operazioni di soccorso. Il rischio maggiore rimane quello di cadere in acqua.
Se succede di giorno con mare calmo c'è qualche possibilità che si riesca a calare il gommone in tempo e recuperare il compagno prima che anneghi o se lo divori uno squalo, di notte e se ci sono onde elevate le possibilità si riducono. In breve se cadi in acqua di notte con mare mosso sei praticamente morto.
Quindi di notte occorre prestare molta attenzione a dove si cammina e afferrare sempre una cima, un corrimano. Vale la regola una mano per te e una per la barca.
...e poi...
quando la barca si staccò da terra non pensai più alla paura.

Chiara said...

Ciao Dario, solo ora vedo del tuo ritorno.Bentornato e soprattutto auguri per ogni possibile decisione futura.che possa essere la più coerente con te stesso e con il tuo valore di vita e del vivere. quello che mi stavo chiedendo è come/ dove /quando hai preso la decisione di tornare.perchè proprio in un quel momento.E se in passato avevi già pensato altre volte di farlo.
ti abbraccio
Chiara

dar said...

Grazie per il bentornato e gli auguri.
...
Era marzo. Ero a bordo dell'Heraclitus da più di otto mesi consecutivi.
Stare su quella barca, penso si sia capito (e se non si era capito lo dico ora) è duro. Si lavora tutti i giorni per fare manutenzione ordinaria e straordinaria, si cerca di produrre materiale per restituire all'esterno la nostra esperienza e si deve procedere con la spedizione. Portare avanti la spedizione è uno dei lavori più onerosi perchè comprende la ricerca di sponsor, cibo, equipaggio, visti, permessi, porti, condizioni metereologiche ...
Quindi dopo un periodo prolungato senza una pausa, si sente la necessità di stare a terra. Magari da soli. Di avere una giornata intera per sè stessi, senza turni di guardia nè orari di rientro.
A marzo, in Porto Rico, avevo estremamente bisogno di...una vacanza. Sembrerà un paradosso ma è così.
Tuttavia Heraclitus ha sempre bisogno di persone che la accudiscano e se l'equipaggio è ridotto non è facile lasciare i compagni sapendo che dovranno lavorare di più.
Tuttavia ad un certo punto ho dovuto prendere la decisione di scendere. E così ho fatto.
Ed ho comprato un biglietto per Cuba.
Da sempre sognavo Cuba.
E volevo rimanerci almeno un mese.
Così sono partito. Dopo uno scalo di 12 giorni in Jamaica, il 31 marzo sono atterrato a l'Avana.
Già respiravo odore di casa.
Nostalgia della famiglia e degli amici e alcuni eventi inaspettati al di fuori della mia portata mi hanno convinto che era tempo di tornare.
Mi è arrivata una mail da Santo Domingo dove il capo spedizione mi chiedeva di tornare a bordo.
No. Era tempo di tornare.
Ero saturo di luoghi, a corto di soldi e non avevo ancora recuperato energie a sufficienza per affrontare almeno 8 settimane di traversata.
No, torno a casa.
Dovevo affrontare anche questo e vincere il timore che il futuro sia meno bello.
Dovevo affrontare le mie insicurezze, ancora una volta.
E questa volta, per assurdo,erano qui, a casa mia, dove sapevo che avrei dovuto fare i conti con una realtà diversa che ora tenta di inglobarmi e di farmi credere che in qualche modo devo smettere.
Di andare. Di credere.

dar said...

...e se in passato avevo già pensato di tornare...
Certamente, ma mai con la convinzione che fosse giunto il momento.
Sapevo che l'avrei sentito in modo inequivocabile.
Prima di allora era un normale desiderio di casa, talvolta malinconico, alte volte vigore per le debolezze.
Era sempre maggior la voglia di conoscere e in qualche modo di portare a termine un progetto.
Quando ho sentito che stavo vivendo l'esperienza più nel ricordo che ne avrei avuto che nel piacere di esserci, ho scelto senza indugio.

Unknown said...

quote : "E questa volta, per assurdo,erano qui, a casa mia, dove sapevo che avrei dovuto fare i conti con una realtà diversa che ora tenta di inglobarmi e di farmi credere che in qualche modo devo smettere.
Di andare. Di credere."

ciao Dario! che bello leggerti..ti sento molto!
ho provato la stessa sensazione..e a volte ancora la provo ma..
non smettere di andare e non smettere di credere.
prenditi del tempo per ascoltarti e capire..every end is a beginning.
dani