Friday, August 21, 2009
Stuck in the mud! Infangati!
Da ormai tre settimane la barca di cemento e´ancorata nel delta del Rio Parnaiba, poco lontano dal piccolo villaggio di Tutoia, di fronte all´isola di Croatá.
L´isola e´di proprietá di un amico dell´Heraclitus, Manno.
Manno ha mosso i primi passi della sua vita sulle spiagge di Croatá. Ha vissuto fino all´étá di 3 anni in una capanna sulla spiaggia e sua sorella e´nata sull´ísola stessa. Manno e famiglia vivevano nel modo piu´semplice che si possa immaginare, senza nemmeno usare abiti di alcun tipo. Erano gli unici abitanti dell´isola. Oggi Manno ha 30 anni e da allora non e´piu´tornato. Ne´lui n´s suo padre sono piu´tornati a Croata´.
Manno ha messo piede sulla spiaggia dove ha imparato a camminare dopo 27 anni ed e´arrivato sull´isola a bordo dell´Heraclitus.
Sull´isola c´éun´unica costruzione di pietra. Una casa bianca. La casa di Dona Luiza.
Dona Luiza e´stata incaricata di curare l ´isola e di farne mantenere l´íncontaminata bellezza, in cambio Guillerme, padre di Manno, le ha offerto la possibilitá di stabilirsi nell´isola, allevando capre, maiali e asini.
L´isola e´un punto di appoggio per molti pescatori che vivono sulle spiagge appendendo qualche amaca, accendendo qualche fuoco.
Il 31 Lulgio 2009 Manno e Dona Luiza si sono incontrati di nuovo, in qualche modo per la prima volta.
Io camminavo dietro a Manno mentre ci avviavamo verso il punto piu´scenografico per ammirare il tramonto. Sotto il suo cappello bianco teneva racchiusi i passaggi di questa storia e la sensazione di una nuova colonizzazione. La tomba del bisnonno e´ancora in discrete condizioni, nascosta tra le piante del selvaggio entroterra. Eppure se per quasi 30 anni e´rimasta dimenticata ora potrebbe essere tempo di darle nuova vita, pur con la consapevolezza che ormai i veri proprietari sono il paesaggio, il tempo, i pescatori, il fiume e le maree.
Croatá forse non e´né di Manno né di Dona Luiza. Forse appartiene alla sabbia. Ai milioni di piccoli granchi che si nascondono sotto il fango.
E piu´che di appartenenza sarebbe opprtuno parlare della sensazione di selvaggio niente che trasmette questa terra.
La storia che le appartiene e´uno scenario perfetto per appoggiarvi la sensazione di mondo perduto. L´enorme disco infuocato che scompare la sera dietro le palme o dietro gli alberi dll´Heraclitus, le sue incandescenze riflesse sulle pighe dellínterminabile spiaggia che la marea libera due volte al giorno, la terra crepata delle pozze di fango seccate dal vento, le impenetrabili mangrovie, i serpenti, gli scorpioni, le spine, sono tutti attori di un piccolo pianeta appoggiato sull´acqua, circondato dalle miglia che ho navigato per arrivarci e viverne la storia e scrivere le prime pagine di quella che e´appena cominciata.
In queste settimane di sosta, prima di avviarci verso i Caraibi, in questi ultimi giorni in Brasile, dopo averne navigato quasi tutte le latitudini, a ridosso dell´equatore, abbiamo esplorato le piante, la geologia, le maree, la topografia, abbiamo mappato i punti di interesse per eventuali pozzi, costruzioni.
Le ipotesi per il futuro sono partite tutte da una sorta di accampamento che abbiamo usato come base per gli spostamenti nell´éntroterra, ma in ogni ipotesi e operazione e´prevalsa la sensazione che la natura fornisca giá il necessario. L´ombra, i rami per appendere le amache, la legna per il fuoco.
Tuttavia il futuro e´l´único tempo non ancora presente. Appare leggero sotto strati di limo, ma la sensazione piu´forte e´stata quella di esserci.
Io e Juju abbiamo deciso di abitare l´ísola anche di notte e di farla nostra almeno per un giorno.
Al calar della sera abbiamo lasciato l´Heraclitus e ci siamo addentrati nella foresta per dirigerci verso l´áccampamento. L´alta marea impediva di cricumcamminarne le rive.
Il sole era giá quasi all´órizzonte, nella sua veloce corsa equatoriale. Io e juju cercavamo di orientarci seguendo l´ínclinazione delle poche ombre visibili. Graffi sulle gambe, spine sotto i piedi e il terrore dei serpenti hanno segnato il percorso fino al´láccampamento.
Gli ultimi istanti di luce sono bastati per raccogliere legna e fissare le amache ai rami.
Abbiamo afferrato vino, olive e crackers per anfdare a godere il tramonto.
Alcuni pescatori rientravano dopo una giornata di lavoro e ancoravano le barche prima che fosse notte. L´énorme luna che era salita a oriente la prima volta che eravamo stati sull´isola non si fece vedere nemmeno per un sorriso e le tenebre di un cielo stellato avvolseto la sabbia, le palme e i tronchi sulla riva. Solo il vento e un paio di luci lontane ricordavano che era poissibile una direzione.
Rientrammo al campo e accendemmo il fuoco per consumare pane formaggio al chiarore delle fiamme. Il calore arrivava solo di striscio, sipnto velocemente lontano da noi.
Io e juju ci raccontammo emozioni, vite diverse e per lungoi tempo non c´era cosa migliore da fare che godere della notte, di quel posto, della natura selvaggia sotto fronde di rami e di stelle.
La sabbia alzata dal vento si era infilata in ogni fessura possibile e il desiderio di un bagno in mare era l´último prima di andare a dondolare tra i rami.
La marea era al suo minimo, ma sapevamo che poco lontano c´éra un banco di sabbia dove l´ácqua era solitamente profonda abbastanza per potersi bagnare. Ci avviammo verso il banco di sabbia ma l´óscuritá ne rese difficile individuarne la posizione.
Cominciammo a camminare sul limo e fango sperando di incotrare almeno una pozza per immergersi. Non camminammo che per una decina di minuti quando Juju mi disse.
Dario, siamo perduti.
Io non vedevo assolutamente nulla e lei non trovava piu´alcun riferimento.
Riusciva a malapena ad individuare gli alberi sulla spiaggia, ma tra la spiaggia e noi céra una sorta di fiume. Ad ogni passo sprofondavamo nel fango e il terrore di incotrare sabbie mobili ci suggeri di non muoverci troppo.
Io cercai di ragionare, di fare il punto della situazione, mentre la sensazione di essere in pericolo si fece piu´fredda del vento che mi strisciava sulla pelle.
Mi strinsi a Juju e pensai.
Dovrebbe essre circa mezzanotte, la marea salirá tra 4 ore, ovvero prima dell´alba e se non trovo un punbto di riferimento non sapro´nemmeno in che direzione nuotare.
La cosa peggiore che potesse capitare era che avremmo dovuto aspettare il giorno li´, in piedi, con le gambe infilate nel fango, il vento freddo e una cortina di stelle che non avevamo guardato abbastanza per poterle usare a nostro favore.
Considerai la direzione del vento per provare ad usarla come orientamento, ma non era sufficiente per inviarmi a muovermi in alcuna direzione.
L´ídea di camminare nel fango e sopra un substrato croccante di granchi non mi convinse a muovermi se non dopo aver trovato qualche certezza.
Non trovai niente, né dentro né fuori e chiesi a Juju come si dice aiuto in Portoghese.
In casi come questo si urla Socoro.
Mi disse.
E comicnciammo ad urlare. Urlammo a scuarciagola sperando che qualche pescatore ci sentisse, Cominciammo ad agiare la pila in tutte le direzioni. Niente.
Non succedeva niente
Solo riflessi di millimentri d acqua e impronte nel fango.
Ad un certo punto le urla cominciarono ad infastidimi e chiesi a Juju di tacere.
Entrambi riuscimmo a mantenere la calma. Ma la calma non bastava per tirarci fuori da quel mare di fango.
Poi chiesi a Juju.
Vedi qualche albero?
Si
E perché non andiamo verrso gli alberi?
Perché tra noi e gli alberi ci sono piu´di 100 metri e in mezzo c´é una sorta di fiume. Se ci impantaniamo li in mezzo non ne usciamo piu´.
Ok.
Poi Juju suggerí di provare ad aggiare il fiume, camminando parallelamente per qualche metro.
Trovammo un punto con meno acqua e decidemmo di tentare di attraversarlo.
Si sprofondava quasi fino alle ginocchia, ma muovendomi rapidamente riusci a trascinare me e Juju su un punto dove la sabbia era piu´consistente.
Camminammo ancora verso terra e ad ogni passo in quel liquido vischioso speravo di appoggiare il successivo sulla sabbia solida.
Camminammo verso erra e ogni tanto Juju contava alla rovescia i metri che rimanevano fino a che percepii la sabbia sotto di me. Sabbia di spiaggia, sabbia asciutta
Non dissi nulla. Non avevo ancora ne´voglia né la forza di gioire.
Volevo solo arrivare alla mia amaca.
Abbracciai Juju, cercai di pulirmi i piedi ricoperti di fango con la maglietta e mi stesi tra i rami.
Non riuscivo a dormire. L´adrenalina socrreva nelle vene come droga e sentivo che anche juju era agitata. In m,eno di un´óra sentimmo una voce.
Era Gilson. Con lui cérano Eddie e Claus, il capitano.
Avevano sentito le mie grida e Gislon, brasiliano,. aveva capito immediatamente che ero io per come avevo pronunciato la erre.
Ed erano partiti in cerca di noi.
Avevano pensato alle cose peggiori, ma che io e Juju fossimo in mezzo al fango non era venuto in mente a nessuno.
Quando ci hanno visti sanie salvi, stesi nelle amache sono tornati alla barca, ripercorrendo la spiaggia e solo nel mattino ci confidarono la loro preoccupazione e potemmo cominciare a ridere sul lieto fine di una nuova avventura in un territorio sconosciuto.
Foto
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