Suonava un violino in quel corridoio marmoreo.
Luce quasi diurna e sudore e batticuore.
Ultima passi in questa città dove avevo deciso di
non correre.
Stesso giorno di un’alba di pietra rossa.
Rossa.
E’ già un nuovo giorno, nuovo mondo, nuova città.
Era alba anche quella che ho visto questa notte. Che
notte non è mai stata.
Riflessa in questa piccola stanza in movimento,
dove mi sono messo a dormire ridendo tra sconosciuti, con un bacio di vino non
più illeggibile.
Come un tre, una enne, anch’essi riflessi, per
diventare l’inizio di un nome.
Cercavo quelle prime luci di un giorno lento
dentro uno specchio che avevo scambiato per una finestra.
Dove sto andando?
Sono da qualche parte tra l’est e il nord. Tra le
pianure di una terra sconfinata.
Dormo ancora, voglio provare a sognare senza buio.
Che mondo strano.
Nasi lunghi di vecchie che abbaiano e cani muti
che portano fortuna.
Uova pasquali e dolci a forma di donne che
fluttuano su scalini bassi.
Che frastuono nelle viscere della terra, decorata
di luce e pietre e brutte foto di fiori.
Ancora scale, gente che scende e sale. Non parla
nessuno, non si ferma nessuno.
Li ho visti urlare a pochi centimetri da me, ma
non sentivo niente. Non avrei capito niente.
Che giorni lunghi.
Cominciano al mercato, tra banchi di formaggio
filamentoso, affumicato come il pesce.
Non sento altro che profumo leggero, né caviale né
fiori.
Due cittadini e un diavolo che non ha voluto bere
con noi.
SI, noi.
Lei correva dietro Uzbechi tostati lungo un fiume
dove ancora soffiano parole di scorpioni che cambiano il mondo.
Chissà a che cambiamento pensavo quando ero
bambino e non sapevo che lei ballava e abitava lontano.
E studiava dentro un castello enorme, e rideva
sotto i baffi di scienziati, anch’essi di marmo.
Non era un’illusione, grande anche quella.
Migliaia di uomini e donne alienati dentro, al contempo convinti di servire al
potere.
Poteva tutto. Poteva la metà rossa del mondo che
arrivava fino all’impero del sole.
Era ancora lo stesso giorno.
Atomico.
Non so più da dove sono partito, forse riconosco
il mattino dalla tua solitudine, dalla tua mezza felicità.
Finalmente ti posso toccare senza plastica, in
questo pezzo di giorno che non è finito, ricomincia soltanto in una nuova
città.
C’è ancora luce.
C’è sempre luce.
Luce d’oro sui tetti di dio, sui bastioni della
guerra, su qualsiasi cosa che possa brillare.
Sull’acqua e sulle chiese giocattolo che facevano
divertire uomini terribili.
C’è chiasso in questa piccola europa costruita sul
fango. Ci sono voci ad ogni angolo. Nascoste dentro alle cose. Non le posso
ascoltare e mi fanno dormire.
Dormo sotto i ponti bassi, li posso toccare, li
posso attraversare.
Sorseggio uve italiane.
Dovrebbe essere sera.
Cos’è la sera? Quelle ore leggere governate dagli
uccelli, magari dal sereno dopo un temporale d’estate.
Dimmelo tu quando viene la sera.
Io sento ancora il calore sulla pelle, lo sento
provenire da un vetro e da una stella che dovrebbe essere lo stesso mio sole.
Vedo la luce bollente sulle candele di quel dolce
di pietra e colori costruito su un fiume di sangue.
Ma ancora non so che non ho ancora visto tutti gli
attimi della luce del nord.
Il mondo non è fatto solo di campanili e quadri,
di montagne e mare. Anche se ho nei ricordi il blu del ghiaccio che scivola sul
mare, non conosco l’aria del cielo.
Ho visto onde fondersi col suono e un tramonto
accecante, ma la luce del nord l’ho vissuta in ogni istante.
Da un lato all’altro di un ponte che divide a metà
una città e il suo tempo.
Da che parte vuoi stare?
Vuoi aspettare nascosto sotto le prime ombre, per
non dire a chi ti ama che non torni a dormire.
Che ore sono?
Mezzogiorno o mezzanotte?
Pochi minuti ancora.
Ma anche i minuti sono soltanto spicchi di ore di
cui non fotte niente a nessuno.
Il sole c’è ancora e le ombre affondano nel grande
fiume.
Che blu.
Mi spieghi tu i colori di questo cielo. Spiegami il rosa e l’argento, spiegami questa
luna veloce, spiegami il fuoco, spiegami
l’elettricità, spiegami soprattutto queste canzoni.
Finalmente ti ho sentito cantare.
Non mi avevi mai detto che lo sapevi fare.
Non mi avevi detto che anche a te serve ossigeno
per vivere, che anche tu respiravi gli anni novanta con gli stessi polmoni che
io incominciavo a riempire di strade.
Cos’era la giovinezza di chi ha conosciuto solo un
pezzo di mondo fino a quando il muro e caduto?
Cosa sognavi, tu?
Ma sapevi di questa luce molto prima di me. Avevi
già capito che non si sogna solo di notte.
No, non è ancora notte.
Non lo sarà mai.
Stanno aspettando tutti che il sole scompaia per
celebrarne soltanto la luce.
Non ne verranno altri di soli.
Sarà sempre lo stesso ad aspettare che passino le
navi, per ricomparire da qualche parte, senza nessuna fretta.
Una, due, tre…. Passano veloci sotto un pezzo di
strada proiettato verso il cielo.
Come sarebbe bello poter prendere la rincorsa e
provare a percorrerla e vedere se lo slancio della strada è sufficiente per
farsi sputare nel blu.
Si, le ho fatte, le foto. Ne ho fate tante. Non
riuscivo a smettere.
Spero che mi aiutino a sentire ancora quelle
canzoni e quell’abbraccio rotondo, grande, mentre cercavo ancora di ballare e
di cantare. Ne avevo voglia anch’io.
Volevo sentire le parole dei ricordi. Erano i tuoi.
Ridevi.
Con quella lettera sulle labbra mentre affondavo
le scarpe nella melma e nel piscio.
Non avevamo nemmeno voglia di bere.
Eravamo assetati di luce e siamo tornati ancora a
guardarla, a puntare gli occhi verso quel cielo nuovo, a sbirciare dalla
finestra i lampioni appesi sulla strada ancora aperta, con il sapore di un
ultimo sorso di vodka e le gambe stanche. Cercavamo l’ultimo posto perfetto.
Non ce n’era bisogno. Era già tutto scritto da qualche parte dove non potrà
leggere nessuno.
Non avrò mai coraggio di dire nemmeno a me stesso
che non riesco a smettere di giocare alla vita.
Forse riuscirò a prenderla questa Mosca. Con una
di quelle strisce di mastice e miele,
Riuscirà ad intrappolarla, le chiederò di smettere
di torturarmi e di portarmi sulle sue piccole ali in qualche posto dove anche
il ghiaccio non sarà più un mistero.
1 comment:
Sin verguenza ;)
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