Penso che il viaggio sia sulla strada.
Sulla superficie della Terra.
Sia essa liquida o solida.
Penso che il viaggio sia lento.
Penso anche che il viaggio piú intenso sia povero.
In terza classe.
Quarta , quinta.
Dalla seconda in giu´.
Non che non mi piacciano i comfort, se potessi scegliere, in certi casi non avrei dubbi.
Ma tra Quelimane e Maputo ci sono solo due possibilitá´.
Aereo o Bus.
Appena ho saputo che l´aereo prenotato cun un solo giorno di anticipo sarebbo costato 10 volte il bus, non ho esitato.
Bus.
1300 Meticais per il posto a sedere e 200 per il bagaglio.
1500 Meticais (45 euro) e´il prezzo per una visita all´inferno.
Convinto che accumulare sonno sia una garanzia di trascorrere dormendo ore lunghe di interminabili viaggi, la notte precedente la partenza non sono andato a dormire e alle 3 del mattino di martedi 14 ottobre ero alla stazione degli autobus di Quelimane, con Martins, autista della Cooperativa Cercamica di cui sono stato ospite per 12 giorni.
Credendo che il numero segnato a penna sul mio biglietto fosse la garanzia che il mio posto a sedere sarebbe stato quello concordato, non mi sono preoccupato di andarne ad occupare uno ed aspettai un´ora fuori, per fare la guardia al mio zaino.
Una volta assicuratomi che stava sopra l´autobus e che non fosse schiacciato sotto sacchi di patate o casava, andai a sedermi.
Il pensiero che potesse cadere dalla bagagliera stracolma duro´poco. Si presentarono presto problemi piu´immediati.
Il bus aveva circa 70 posti distribuiti in file da 2 e 3 sedili, rispettivamente a sinistra e destra del corridoio.
Credo che solo gli scuola bus contengano cosi´tanti sedili.
Credo che un viaggio di 22 ore e piu di 1000 km su un mezzo del genere sia impensabile in molti paesi dove sono stato finora.
I numeri sui sedili non esistevano.
C´era una fila di 3 sedili liberi. Ed erano gli unici.
Che culo, ho pensato.
Mi sono steso su tutti e tre, cercando di cominciare subito a dormire.
Alle 4 precise, clamorosamente, l´autobus comincio´la sua marcia verso Maputo.
Arrivo previsto per le 2 del giorno seguente.
22 ore con tre sedili a mia disposizione non sarebbe state poi cosi´ male.
Non passarono nemmeno 10 minuti che l ´autobus si fermo´ e sentii che qualcuno si stava sedendo sopra le mie gambe, per farmi capire che voleva sedere li´.
Gli feci posto e mi accorsi che il mio sedile era quello sopra la ruota dell´autobus.
Quello che non vuole mai nessuno.
Quel posto tanto odiato per tutti gli anni che sono andato a scuola in corriera.
Le cambe non possono stare in posizione per cosi´dire... normale, a poco piu´' di novamnta gradi.
O stese sotto il sedile anteriore, o piegate, con le ginocchia molto alte.
Nel rannicchiare le gambe la seduta del sedile si stacco´dall´intelaiatura e scivolai in avanti.
Senza alterarmi troppo, non ne avevo le forze, cercai di riposizionare il pezzo di sedile.
Presa posizione mi resi conto dell'incredibile spiffero d'aria che entrava dal finestrino.
Ero seduto esattamente all'incrocio dei pali, ovvero se giravo la testa alla mia destra per guardare il paesaggio vedevo quasi esclusivamente il telaio dei finestrini.
Il vetro sbatteva nel telaio, provocando un rumore incessante esattamente al livello del mio orecchio.
Il tipo alla mia sinistra mise la sua borsa tra le nostre coscie, diminuendo lo spazio a dispoizione per sedere.
Ma non avevo voglia di dire niente.
Stava andando tutto gia' troppo male.
Le fioche luci sul soffitto dell'autobus mi impedivano di vederne bene le fattezze e di distinguere le facce degli altri passeggeri´, ma non ci misi molto a capire che c'erano bambini.
Un paio, proprio davanti a me, urlavano per non solo quale gioia di un mattino ancora buio, ma, cosa molto peggiore, quello piccolo alla sinistra, al lato opposto del corridoio, comincio´a piangere.
All´inizio, dopo la prima decina di strillate, ero quasi contento. C'era qualcuno che stava peggio di me. Lui, o lei, non l´ho mai capito, non poteva dire cosa voleva e non poteva nemmeno decidere la posizione. poteva solo piangere o non pinagere.
La madre provo´a fare un po´ di vento, a mettergli in bocca una tetta per dargli da mangiare, ma niente, strillava.
Provo´ a farlo saltellare, a cullarlo. Non c´era verso.
Era un pianto forte, urlato con tutta la voce che quella creatura appena venuta all'Africa riusciva a usare.
Se io gli avessi urlato nelle orecchie con la stessa forza con cui piangeva, forse l'avrei fatto vibrare.
Mi divertiva vederlo piangere. E allo stesso tempo mi dispiaceva.
Ma dopo un po´il suo urlo continuo mi entro´nel cervello come nota unica e costante, impossibile resistere ancora.
Estrassi i miei tappi per le orecchie che in un brillante istante di lucidita' mi ero ricordato di prendere dallo zaino poco prima che lo mettessero sulla bagagliera.
Morto di stanchezza e piombato nel piccolo silenzio di poliuretano arancione tra i suoni e me, riuscii ad assopirmi.
La testa china contro il vetro, le gambe rannicchiate.
Mi sveglio´una manata sulla spalla.
Era l´aiutante dell´autista, il bigliettaio. Il rompicazzo.
Il mio portoghese degli ultimi giorni andava sempre migliorando, ma non riuscii a capire quello che mugugnava quel tipo, nemmeno dopo essermi stappato le orecchie.
In ogni caso stavano uscendo tutti e quindi mi apprestai a fare altrettanto.
Il mattino era abbagliante.
Potei distinguere chiaramente le facce degli altri passeggeri e quella del mio vicino.
Potei notare che l'autobus non poteva avere meno di 30 anni.
Appena sceso vidi che tutti pisciavano.
Uomini in piedi e donne pure. Allargano le gambe e pisciano sotto la gonna. Non hanno le mutande.
Senza un vero stimolo, pisciai.
Assonnato mi accorsi solo mentre pisciavo che eravamo sulla riva di un larghissimo fiume.
Un ponte in costruzione lo attraversava per meta´della larghezza e una chiatta enorme si stava avvicinando.
La chiatta aveva il motore a pieno regime, perche´doveva contrastare la forte corrente ed era caricata con un paio di TIR, bus, auto e persone.
Attracco´, abbasso´gli scivoli metallici e veicoli e persone cominciarono a uscire.
A quel punto il mio autobus e altre auto salirono sulla chiatta. Per ultime, persone e bicilette.
All'altro lato del fiume comprai un paio di banane dalle baracche di legno e una bottiglia d'acqua dai vendtori ambulanti che attorniano i bus ogni volta che si fermano.
Quando l´aiutante, un tipo col capellino da baseball e una maglietta con scritto MERRY CHRISTMAS, chiuse le porte dell'autobus, io non mi ero ancora seduto e dovetti saltare borse, taniche e bambini per andare nel mio buco.
Cercai di salutare il mio vicino, ma non ci misi molto a capire che non parlava ne' portoghese ne´inglese. Riuscii a fargli dire Bangladesh.
Io dissi Italia.
E non ci parlammo mai piu´.
La strada al di la' del fiume era in costruzione, quindi sterrata e la velocita' di crocera rimasesui 30 km-h per circa mezz´ora.
Non appena la velocita´era inferiore ai 50 km-h il bus si trasformava in un forno.
70 persone che respiravano, il calore del sole e il pianto di quel bambino.
Facevano piu´caldo le sue lacrime di tutti i fetidi respiri.
Aprire il finistrino non dava gran sollievo, quindi decisi di infilare nuovamente i tappi.
Circa ogni mezz'ora dovevo cambiare posizione perche´mi duolevano le natiche e dopo 4-5 cambiamenti dovetti rassegnarmi ad alzarmi in piedi.
C'erano altre persone in piedi´.
Altri culi piatti, ma l'aiutante fece sedere solo me.
Non ho idea del motivo.
Forse perche´sono bianco, pensai.
Ero ovviamente l´unico bianco.
Sono quasi l´unico bainco che ho incontrato da molti giorni a questa parte. Ripresi posto.
E traballai per un altro po' di tempo con la coscia sinistra riscaldata dalla borsa del vicno, prima che ci fermassimo nuovamente per pisciare e comprare qualcosa da mangiare.
Dopo questa pausa di soli 10 minuti rientrai.
Il ragazzo del Bangladesh non si era mosso.
E non si mosse mai.
Aveva un dollaro in tasca e forse qualche altro problema.
(la signora che gestisce l´internet cafe´mi ha interrotto per farmi vedere il film porno che sta guardando sul suo pc. Ride)
Dicevo..ah si....
Bangladesh.
E poi i pannoloni, cambiati al mio fianco.
Pianti e strilli e merda fuori dal finistrino.
Gettano tutto dal finestrino.
Bottiglie, banane, lattine.
Come se fuori la spazzatura venisse risucchiata direttamente nel bidone.
Tutto il pomeriggio e' andato avanti cosi'.
Soste ogni dure ore, pianti.
Alle 18 era tutto immerso nel buio.
Ero un punto bianco nella notte nera.
E cominciai a pensare a cosa stavo lasciando.
Paulito, Benedicto, Vasco, Nelu, Winghy....e tutti gli altri bambini.
Dona Dulcia, Dona Vitorina.
Martins....
Acacio e le sue interminabili ore solitarie nella notte, davanti al cancello.
Ora le potra´ contare con l'orologio che gli ho regalato.
Pensavo alle canzoni che quella `creansa´ (bambini in portoghese) aveva cantato per me.
Pensavo alle loro storie, tristi, senza padri ne´ madri.
A quegli 87 fratelli che vivono in una unica FAMILIA.
Pensavo alle patate, al pollo, al pesce che Dona Dulcia cucinava per me.
Pensavo che ovunque si dovrebbe tornare....
Tra qualche pensiero felice e nuova stanchezza credo che mi assopii un altro paio di volte prima che il bus si fermasse ancora.
Nel nulla.
Scesi.
La luna piena faceva brillare il cielo.
Intravedevo i contorni degli alberi lontani.
Distinguevo le vernici bianche della carrozzeria.
La luna riflessa sui vetri.
La bagagliera altissima, piena di bagagli.
Eravamo fermi per un´avaria.
Ah.
Non mi somposi piu' di tanto.
Era gia' tutto troppo assurdo.
Io, solo, tra africani. In Africa, nella notte, accanto ad un bus fermo nel nulla.
Pisciai li´, due passi lontano dalla porta.
E aspettai.
La luna mi piaceva di piu´riflessa che vera.
Guardando quella riflessa nel vetro potevo vedere contemporaneamenete, luna, nuvole veloci che la nascondevano, e bus. E avere il quadro completo della situazione in una sola immagine.
Nella notte intorno sentivo un bambino vomitare, un altro piangere, un vecchio sputare.
Una signora fumava succhiando il filtro e tutta se stessa ad ogni boccata.
Tutti in attesa.
Senza sapere se saremmo davvero ripartiti.
Ma ripartimmo.
Guardai l'ora molto spesso per tutte le ore a venire, mi alzai, cambiai posizione, mi coprii la testa con la camicia per proteggermi dagli spifferi freddi.
Ogni tanto bevevo un sorso d'acqua riponendo la bottiglia tra le gambe per paura che il tipo del banlgadesh me la prendesse.
Aveva finito la sua e non aveva Meticais. Solo un misero dollaro.
Al mattino, alla prima sosta, ne comprai una bottiglia per lui, ma poco dopo spari'.
Lui e altri 4 indiani sparsi per il bus scesero, salirono su un pick up rosso e non tornarono.
Non so il motivo. Non so niente.
E non so nemmeno perche´la po0lizia, dopo aver controllato il passaporto del bianco, ovvero il mio, fece scendere tre tipi, seduti uno accanto all´altro.
Si erano appena lucidati le scarpe di cuio marrone con meticolosa cura.
Forse preparavano la marcia verso la questura.
Non so.
Non so niente.
So che avevo occhi come macigni, male ai denti per via delle vibrazioni, un culo che ancora non riersco a tenere seduto e tanta voglia di dormire.
Vado.