Tuesday, November 19, 2019
Diario di viaggio. Il valore di scrivere sulla carta.
“La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno. Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli. Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poichè è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente la natura e l’estensione di questo cambiamento.” J.P. Sartre, da La nausea ,
I piccoli fatti. Questo consente di fare la carta. La carta è immediata, è parte del viaggio. La carta assorbe l’odore, la pioggia. La carta brucia. Ci sono pagine dove ho provato ad imprimere un profumo, dove ho scarabocchiato la rabbia, pagine che ho baciato, che ho stracciato e poi incollato. Ci sono biglietti, indirizzi. La carta pesa, ma è ancora assolutamente insostituibile. Ci sono pagine scritte su fogli a righe, altre su quadretti di quaderni comprati a Cuba. E c’è questa pagina, nella foto. La prima di un diario comprato a Blantyre, in Malawi, dentro un piccolo laboratorio di carta riciclata, prodotta a mano da altra carta o da merda di elefante. Davvero. non ci credevo che un giorno avrei scritto su quel che era sterco gigante. Come scrisse J.P Sartre all’inizio de La Nausea, tenere un diario serve a vederci più chiaro, ma non necessariamente subito. Magari a distanza di giorni o settimane. E quindi la carta e solo la carta permette di appuntare e non di scrivere. La carta da viaggio non vuole necessariamente il senso compiuto. Il messaggio che contiene deve essere per forza trasformato, riletto, riscritto, prima di essere tramandato. Le sfumature. Quante volte me lo sono detto io stesso che sono quelle a dare vita ai colori. La polvere dell’Africa si puà quasi palpare tra le pagine ruvide di un diario che è esso stesso un pezzo di Africa. Sicuramente c’è qualche granello, qualche atomo di polvere, magari il sangue rappreso di una zanzara schiacciata tra le pagine. “La mia Africa comincia tra piedi scalzi e scarpe lucidate in città’ Ruvida e liscia. Sporca e lucente. Piena di contrasti e di chiassosi accostamenti. “Pensieri che vogliono diventare parole ” strisciate sulla carta come piedi sulla polvere. Come serpenti, come gocce. Una penna che scorre su carta e merda come piedi di bambini che calpestano la terra. Quanta Africa ho ritrovato in questa pagina, quando, dopo più di due anni, l’ho riaperta, riletta, riscritta. Se anche tu viaggi, se scrivi, fallo ancora e per molto tempo, sulla carta, con la penna. Tutto il resto (Tablet, Pad, Pod) non è ancora poesia. Nè viaggio. Nè emozione.
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