Tuesday, May 26, 2009
Candombe: il ritmo nero della strada
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Il 25 Maggio del 1810 a Buenos Aires, cittadini armati espellono il viceré di Spagna e stabiliscono un governo provinciale per l'Argentina. Da allora in questo giorno si celebra la giornata nazionale della liberazione.
In occasione di questa festa le comparse (gruppi) di Candombe si radunano in una città dell' Argentina. Il Candombe è un ritmo proveniente dall'Africa che è stato parte importante della cultura uruguayana negli ultimi duecento anni. Questo ritmo arrivò in Uruguay dall'Africa grazie agli schiavi negri, e ancora palpita nelle strade, sotto i portici e nei carnevali di questo piccolo incantevole paese fino a contaminare in maniera ormai diffusa le strade e la gente della confinante Argentina.
Il Candombe è quanto sopravvive di un'eredità ancestrale di origine Bantù, portata dagli schiavi negri nel Rio de la Plata. Questo termine è generico per tutte le danze di negri: sinonimo quindi di razza nera e di evocazione rituale della propria razza. Il suo spirito musicale riassume i dolori degli sfortunati schiavi, i quali si videro brutalmente trapiantati in Sud America, per essere venduti e destinati a duri lavori. Erano anime doloranti, che serbavano inguaribili nostalgie della terra natia. Nell'epoca coloniale, gli africani appena arrivati davano ai loro tamburi il nome di tangò. Con quel vocabolo veniva designato anche il posto dove i negri realizzavano le loro danze di candombe, le quali per estensione venivano chiamate tangò. Con la parola Tangò si definiva il posto, lo strumento, e la danza dei negri (da qui alcune ipotesi sull'origine del termine del ballo argentino tango).
Ad oggi argentini e uruguayani si ritrovano tutte le domeniche, giorno sacro per i candomberi, per praticare, imparare e suonare i tamburi.
Accendono un fuoco per scaldare e seccare le pelli dei tamburi, in modo che il suono sia più preciso. Il rituale dell'angolo di strada è parte del capitolo dimenticato della diaspora africana. I tamburi raccontano la storia del profondo impatto che la cultura africana ha avuto in Uruguay ed in altre parti dell'America Latina. Di fatto gli afro-uruguaiani celebrano un frammento della storia che sovente è stato ignorato.
Il ritmo del Candombe si crea col combinarsi del suono di tre tamburi (piano, chico e repique). Quando questi tre tamburi si riscaldano si ascolta qualcosa di unico in cui mi sono riotrvato immerso senza prevederlo e senza programmarlo.
Sabato sera all'Academia Biosferica, dove vivo e collaboro ormai da più di un mese, hanno suonato i Cajchi Lanudo, un gruppo di musica folcloristica argenitna.
I componenti di questa banda composta da chitarra, voce e tre percussionisti, sono anche dei candomberi che l'indomani sarebbero andati a La Plata, per la Quinta llamada.
Mi sono aggrgato a questi 15 ragazzi e ragazze della comparsa Copeta llama di Salta, che come cantano loro stessi "vengo(no) del culo del mondo", essendo una delle città più remote dell'Argentina. Situata nel nord-ovest ai piedi della cordigliera delle Ande, ad un'altitudine di 1152 metri sul livello del mare, capitale dell'omonima provincia è famosa per la tipica architettura in stile coloniale spagnolo ed e' circondata da magnifici paesaggi.
Il ritrovo per i Candomberi in trasferta era una vecchia fabbrica metallurgica dismessa, inserita in un contesto piuttosto diroccato, nella periferica di Tolosa, città inglobata con la confinante La Plata. Due grosse cisterne sovrastavano il parco di fronte all'edificio, dando una connotazione quasi sacra al luogo che brillava di mistero e energia alla calda luce del tramonto autonnale.
Alcuni fuochi erano già accesi, circondati da tamburi.
Disposti a semicerchio, sottovento, oppure affiancati fino a completare l'anello, i tamburi sono i signori del fuoco. Sono loro i protagonisti e ognuno si prende cura del proprio o di quelli della propria comparsa, andando a testare di tanto in tanto la tensione della pelle di cavallo o mucca.
Un paio di colpi con la bachetta o con la mano per ascoltare il suono e stabilire se è sufficientemente preciso per cominciare a suonare.
Qualcuno, probabilmente arrivato anzitempo, si era già adunato in cerchio e il suono delle percussioni salutò il mio ingresso in quel posto senza mai abbandonare le mie orecchie fino al momento in cui ho lasciato la città.
Mai.
Nemmeno di notte.
Il ritmo e' parte della festa. Il protagonista. E c'è semrpe qualcuno che lo fa vivere. C'è sempre qualcuno che lo alimenta. Ritmo e fuoco sono sempre accesi.
Sono accesi durante la presentazione delle varie comparse, mentre si mangia la carne offerta dall'organizzazione. Anche mentre suona la banda dentro la fabbrica qualcuno, fuori, un po' defiliato, suona.
Poco dopo il discorso polico e sociale di un tale con i baffi che aveva tutta l'aria di essere una specie di presidente, senza che nessuno decidesse nulla, senza preavviso, anzi, quasi all'imporvviso, un gruppo di candomberi si sono procurati il proprio tamburo e hanno cominciato a suonare. In pochi minuti avevano tutti un tamburo appeso alle spalle e stavano suonando.
Cento, forse di più. Impossibile contarli. Erano tanti e stavano camminado verso la strada. Allineato in righe parallele, questo plotone del ritmo della strada si stava avviando alla sua conquista. Lo spettacolo folcloristico era organizzato per il giorno dopo. Quella era una improvvisazione, una cosa natà così, per la passione, per il desiderio di suonare, di far vibrare la notte, l'asfalto, il fuoco. La città.
Le auto erano costrette a fermarsi o a cambiare direzione, i candomberi avevano invaso entrambe le corsie e una folla di ascoltatori li scortava ballando, cantando o semplicemente ascoltando.
Il giro del quartiere è durato circa un'ora e per quel tempo nessuno ha smesso di suonare.
Anzi, eccitati dal ritmo e dalle foglie di coca che masticavano, i percussionisti colpivano con forza crescente.
Sotto la luce elettrica davanti alla porta della fabbrica, le file si sono rotte in un grande cerchio e per ordine di un di un gesto, di un'intesa, di un linguaggio che io non ho potuto comprendere, all'unisono hanno rullato i battiti della fine.
Tum, tum, tutum.
Ed era giorno.
Dopo una notte passata sul pavimento di una palestra della facoltà di Ingegneria, il rito dei fuochi ha ripreso la scena.
Le comparse si rpeparavano per la loro chiamata, per andare a conquistare quei metri di strada dove incidere il proprio ritmo.
Il Candombe ha assunto una caratteristica coreografica al punto che quella rimessa polverosa, coperta di erba gialla, foglie secche e terra bagnata, si tinse di colori sgargianti, di voli di bandiere, di tamburi variopinti e del calore del fuoco.
Fuoco, ritmo, raduni, strada. Molte parole del mondo Candombe hanno assunto il valore del rito, ma la vestizione ha veramente qualcosa di magico.
Uomini, donne, bambini, indossano i costumi della loro comparsa: calzoni, maglietta, cappello e una sorta di lunga casacca cangiante sono la divisa comune, con variazioni di taglio e combinazione dei colori a seconda della fantasia e della creatività del gruppo.
Tutte le comparse, tuttavia, indossano calzoncini neri con fetucce bianche avvolte intorno alla gamba, per simboleggiare le cicatrici della catene degli schiavi.
Un tempo queste strisce erano rosse, il colore del sangue, ma ora le ferite si stanno cicatrizzando e le cicatrici sulla pelle dei neri sono bianche.
I percussionisti vestono tutti uguali e la coreografia e`arricchita da danzatrici più o meno vestite, da una sorta di matrona e dal bastonero, un vecchio dottore con bastone, borsetta e cilindro.
Originale la comparsa de la Boca, di Buenos Aires, Iya-Kererè, costituito da sole ragazze.
Non so quanto le parole possano desrivere l'arcobaleno di colori che per tutto il giorno ha tinto le strade, più di quanto una sequenza di immagini possa effettivamente restituirne la tavolozza, ma se il vero protagonista e' il ritmo, quello va ascoltato.
Lo si sente per tutto il quartiere, si alza dietro le case. La banda uscita per prima è ormai qualche blocco più avanti, scomapiono i colori, non il loro battito. Il suono dei tamburi tigrati si fonde con quello dei Tambores tintos, rossi, neri e bianchi. Nela decina di metri di strada liberi, tra una banda e la successiva, i due ritmi si fondono, e il suono, sventolato dalla bandiere, si spande nell'aria.
Non basta la pioggia a fermare il tempo.
Non quando quel tempo è quello della musica, ancora una volta, nata dalla strada, dalla povertà, dalla sofferenza, dalla schiavitù. Dalla pelle nera.
Il soul, il jazz, è quasi tutto nero.
La musica, il ritmo, sono da sempre espressione di sentimento e chi ha qualcosa di triste e forte da esprimere, qualcosa di profondo da espellere, non puo`che trasformare in energia per le mani la propria rabbia e farla suonare ovunque nel mondo.
Essere partito dall'Africa per questo viaggio, percorrendo in barca la stessa rotta degli schiavi e ritrovarmi ora a conoscere quello che quegli schiavi hanno vissuto e creato assume un significato intenso.
Anita, Diego, Alfredo, Esteban, Annalia e gli altri comopenti dei Copeta LLama mi hanno dato l'opportunità di conoscere uno spettacolo da dietro le quinte per assaporarne costumi e aspetti folcloristici con il valore storico e sociale che il suono eccitante del ritmo della strada cerca di diffondere. In Uruguay, in Argentina e nel mondo.
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